LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA E LA SUA PRESIDENZA.

(26-04-2024). L'amico Lorenzo Tommaselli mi ha inviato un articolo tratto dal sito Religion Digital a firma di Vicente Luis García. Il titolo è accattivante: Padre Francesco, può un laico presiedere l'Eucaristia? Questa, spiega l'Autore, potrebbe essere una domanda per papa Francesco, ma in realtà è una domanda per tutti, da dibattere in sinodalità. Magari da mettere sul tavolo del Sinodo. Una prima e rapida risposta sarebbe: no, commenta Vicente Luis García e ha ragione.

L'articolo motiva la domanda al Papa con una serie di argomenti convincenti, ma a me piacerebbe rispondere all'ultima domanda di Vicente Luis García: E permettetemi di fare ancora una domanda: cosa accadrebbe se oggi un vescovo, coraggioso aggiungerei, nell'ambito dei suoi poteri nella sua diocesi, facesse un passo avanti e cercasse soluzioni pratiche per garantire l'accesso ai sacramenti a tutti i suoi fedeli, formando consacrati e laici come le circostanze richiedono?

In spirito di sinodalità, mi permetto di rispondere: succederebbe che il vescovo coraggioso, consenziente o meno, si troverebbe nominato ordinario della diocesi di Partenia, lasciata recentemente libera dal vescovo Jacques Gaillot che ha raggiunto la casa del Padre perché, se è vero che nella propria diocesi il vescovo "sedet super canones" (o quasi, vedi C.I.C. cap. II can. 381-402), è anche vero che i poteri - normati dal can. 391 paragrafo 1 – sono chiaramente descritti: "Spetta al Vescovo diocesano governare la Chiesa particolare a lui affidata con potestà legislativa, esecutiva e giudiziaria, a norma del diritto". E il diritto, al canone successivo, precisa: "Poiché deve difendere l'unità della Chiesa universale, il Vescovo è tenuto a promuovere la disciplina comune a tutta la Chiesa e perciò a urgere l'osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche. Non solo: Vigili che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica, soprattutto nel ministero della parola, nella celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali, nel culto di Dio e dei Santi e nell'amministrazione dei beni". Roma locuta, causa soluta.

Ma la domanda di Vicente Luis García è stimolante la fantasia e m'immagino un vescovo coraggioso che cerca soluzioni pratiche per garantire l'accesso ai sacramenti a tutti i suoi fedeli, formando consacrati e laici come le circostanze lo richiedono.

Per attuare una qualsiasi soluzione pratica a quanto sopra "sognato", è necessario trovare persone (maschi e femmine) che abbiano intenzione di partecipare ad un percorso formativo per il servizio di accesso ai sacramenti a tutta la comunità diocesana e lo facciano con reale spirito di servizio e non di privilegio (o, peggio, di potere), come mi accorgo che succede ai diaconi permanenti ed ai ministri/e straordinari dell'Eucaristia. Trovare persone (maschi e femmine, scusate se insisto sul sesso) che si mettano in gioco rendendosi disponibili ad offrirsi per questo servizio pastorale non è facile perché, oltre al rischio suaccennato, si tratta di affrontare il parere del clero diocesano, delle suore, dei buoni cattolici che guardano di traverso i fratelli e le sorelle che ricevono la comunione sulla mano nella medesima celebrazione eucaristica. Non aggiungo altro: ognuno immagini come potrebbe essere accolta la proposta di formare consacrati e consacrate, laici e laiche a presiedere l'Eucaristia, battezzare, amministrare l'Unzione dei malati ed assistere la celebrazione di un matrimonio in qualità di teste qualificato. Ergo: il vescovo coraggioso, prima di partire per Partenia, dovrà avere il coraggio di affrontare il proprio clero, le religiose consacrate, le singole comunità parrocchiali della propria diocesi lasciandosi mettere in discussione. Immagino che qualche vescovo così coraggioso da non temere il confronto diretto con la propria comunità diocesana, sicuramente si troverà setacciando tutto l'orbe cattolico; personalmente ho qualche dubbio.

Ma, al di là della premessa alla soluzione pratica, sensibilizzati (con successo) i battezzati di tutta la comunità diocesana, la soluzione – anzi, le soluzioni – sono già sparse sul tavolo di tutte le comunità del mondo cattolico, a patto che non ci si lasci prendere la mano né da chi spinge sul freno nel nome della Tradizione, né da chi spinge sull'acceleratore nel nome del Rinnovamento.

Ci sono preti e suore che hanno lasciato l'abito solo perché hanno deciso di contrarre matrimonio. Contrarre matrimonio – preciso – non fare sesso ad oltranza. Questa gente è già preparata, si tratta solo di spiegare loro che non sono richiamati in servizio come succede con le riserve dell'esercito e neppure nel nome della "salus animarum, suprema lex", ma semplicemente perché già l'ha previsto il Maestro: "Andate in tutto il mondo e fate mie discepole tutte le creature, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".

Ci sono catechisti e catechiste – oggi quasi esclusivamente nelle zone di missione – che già ora presiedono l'Eucaristia aiutando a riflettere sulla Parola e condividendo il Pane già consacrato. Come sono previsti i Ministri straordinari dell'Eucaristia istituti, ma anche "ad actum" (ad nutum del presbitero che presiede l'Eucaristia), il vescovo coraggioso – in attesa di essere giubilato a vescovo di Partenia – potrebbe partecipare "ad actum" il proprio sacerdozio al/alla catechista che, impossibilitato/a a portare con sé il Pane consacrato, pronunci per quel giorno e per quella comunità le parole che Gesù pronunciò nell'Ultima Cena.

Ci sono ex preti, ex suore e laici e laiche (questo anche in Italia) che ricevono il feretro al cimitero per l'estremo saluto di commiato e l'accompagnano alla tomba. Perché, nel caso di impossibilità di presenza del presbitero consacrato, non possono anche presiedere il sacramentale del funerale?

Si potrebbe continuare ad individuare situazioni pratiche ove il vescovo coraggioso metta in atto soluzioni per garantire l'accesso ai sacramenti a tutti i suoi fedeli, ma il concetto di fondo è che tutta la Chiesa (non solo i Pastori) si senta missionaria nel pieno senso del termine, come accadde agli Apostoli che, trovandosi impossibilitati a gestire la comunità che stava crescendo, s'inventarono l'idea di eleggere sette diaconi per il servizio alle vedove o come accadeva nelle prime comunità cristiane dove non si faceva distinzione di sesso. La prima aralda della Risurrezione fu Maria di Magdala e, sempre stando ai Vangeli, fu anche la prima persona che vide Gesù risorto. Evodia, Sintiche, Perside, citate come collaboratrici delle comunità missionarie paoline, avranno svolto un ruolo di primo piano nelle comunità primitive, hanno annunciato la Buona Novella e partecipato attivamente all'Eucaristia. È documentata l'esistenza di diaconesse e nel III secolo in Oriente, nel V secolo in Occidente, apparve anche il diaconato femminile ordinato.

Si tratta, quindi, di iniziare a "fare mentalità" ricordando la Chiesa delle origini e chissà che, così facendo, il nostro vescovo coraggioso riesca a mantenere il servizio pastorale nella sua diocesi senza finire titolare della Chiesa "in partibus infidelium" di Partenia.

ANALISI AD USUM DELPHINI

(26.2-2024). Stylum Curiae, il blog di Marco Tosatti, riporta una riflessione di Joachim Heimerl in cui, riportando "…voci dalla cerchia del Papa" sembra che "…il celibato sarà vittima della riforma "francescana" della Chiesa". L'articolista, nel merito, scrive: "…il celibato è un indicatore interessante, perché ovunque sia messo in discussione, la fede cattolica è evaporata. Chi si allontana da Cristo si allontana sempre prima dallo stile di vita che LUI ha vissuto. Questo vale per ogni papa, ogni vescovo e ogni sacerdote. Visto in questa luce, il tradimento del celibato non è altro che un nuovo tradimento di Giuda, e nemmeno il Vaticano sembra esimersi dal commettere finalmente questo tradimento. Gli araldi del Papa lo stanno già preparando: Un alto prelato dopo l'altro si sta pronunciando contro il celibato e spera di ricevere in cambio Trenta Denari da Francesco".

Lascio perdere l'ultima affermazione di Heimerl (mi sembra calunniosa) e mi concentro su alcune affermazioni precedenti.

  • L'articolista scrive che ovunque il celibato è stato messo in discussione, la fede cattolica è evaporata. Non so a cosa si riferisca, ma a me sembra che la fede cattolica – posto che possa evaporare come l'acqua in cui bollono i fagioli – sia evaporata da un bel pezzo; ancor prima della messa in discussione del celibato ecclesiastico. È sufficiente volgere lo sguardo attorno a sé e si fatica molto a cogliere una vita di fede profonda ed entusiasta. La fede, ridotta ad osservanza religiosa che ritma i riti di passaggio sociali con sacramenti e sacramentali (nascita=battesimo; crescita= prima comunione e cresima; vita di coppia=matrimonio; morte= funerale), non è per nulla testimoniata in modo massiccio, evidente, soprattutto credibile da parte dei cattolici e non solo da quest'ultimi, ma anche dai fratelli protestanti, ortodossi, anglicani che hanno preti maschi e preti femmine, sposati o celibi e forse anche nubili.
  • Heimerl prosegue ricordando quanto il card. Alfons Maria Stickler scrisse nel 1993, nel suo libro "Il celibato clericale" che sostiene che il celibato non è mai stato solo una legge ecclesiastica che poteva essere semplicemente abolita. Al contrario: l'astinenza del clero risale agli apostoli ed era prevista per tutto il clero nella Chiesa primitiva. Se erano sposati, non potevano più avere rapporti sessuali con le loro mogli dopo l'ordinazione. Quando uscì il libro di Stickler annotai, in un articolo di recensione, che il cardinale affermava senza provare e questo non si fa. Non lo deve fare nessuno, neanche un cardinale bibliotecario, archivista e storico della chiesa. Continuavo la mia recensione affermando che, anche se il cardinale esibisse prova inoppugnabile su quanto afferma, il celibato non c'entra. È singolare che un cardinale non lo sappia. Essere celibi non significa NON avere rapporti sessuali. Essere celibi significa non essere sposati. Per chiarire meglio: una femmina che non si sposa è nubile. Nubile, non vergine. Nessuno può impedire ad una donna nubile di intrattenere rapporti sessuali con chicchessia.
  • Ancora Heimerl: "Dove muore la fede in Cristo, muore prima l'astinenza. E dove sorgono eresie e scismi, l'abolizione del celibato è sempre foriera, come ha dimostrato l'introduzione della Riforma in Germania e in Inghilterra". Accidenti! Posso dire che mi sembra un'affermazione piuttosto lapidaria e senza fondamento?
  • "Visto in questa luce, il celibato è un indicatore di fedeltà a Cristo ed è per questo che la Chiesa lo ha sempre mantenuto". Falso. La chiesa (non la Chiesa) non ha SEMPRE mantenuto il celibato. L'ha consigliato, ma quando ha deciso che dovesse essere obbligatorio (solo per i cattolici di rito romano) ha dovuto fare una legge. Come ha fatto la legge del celibato obbligatorio, può fare la legge del celibato facoltativo.
  • "…il celibato – prosegue l'articolo - si riferisce all'essenza più intima del sacerdozio: Il sacerdote è legato a Cristo in modo sacramentale e ontologico. Proprio per questo motivo, il sacerdozio non è mai limitato a una funzione esterna. Non è una "professione" come le altre, ma una vocazione sacra – e richiede tutto l'uomo e un cuore indiviso. Essere sacerdote non è una mezza misura o un lavoro part-time, e chi non si sacrifica non potrà mai compiere il sacrificio di Cristo sull'altare. Stickler chiama questa "vita sacrificale continua" del sacerdote, che oggi è ovviamente poco compresa come il carattere sacrificale della Santa Messa". Quando si vuole a tutti i costi darsi ragione, si rischia di creare confusione a sé stessi. Di tutto quanto scrive Heimerl di veramente vero c'è che il sacerdozio ministeriale è una missione e non una professione.
  • "Se il Papa abolisse il celibato – conclude Heimerl - agirebbe quindi contro gli apostoli e contro Cristo. E anche se uomini sposati (i cosiddetti "viri probati") venissero ordinati al sacerdozio, ciò potrebbe avvenire solo se si impegnassero nell'astinenza coniugale richiesta dalla Chiesa primitiva". Ma come si fa a pensare e scrivere queste cose? A parte il fatto che non credo che Papa Francesco abolirà il celibato, rendendolo facoltativo, come è possibile affermare che se si ordinano viri probati, questi devono essere obbligati all'astinenza?

Concordo con Heimler quando scrive: "Oggi, però, la gente non ne vuole più sapere, perché non conosce più Cristo. Senza una conoscenza più profonda di Cristo e senza il sacrificio di una devozione totale a Lui, però, nessuno può essere sacerdote". Verissimo. La gente non conosce più Cristo ed il suo messaggio. 

Ma scusi, dr. Heimler, non dovrebbe essere compito anche dei preti rigorosamente celibi far conoscere il messaggio di Cristo?

CONDANNATO DON MARTINELLI

(26-01-2024). La Corte di appello vaticana ha ribaltato la sentenza di primo grado e ha condannato a 2 anni e 6 mesi don Gabriele Martinelli, ex allievo del Preseminario S.Pio X perché considerato "colpevole del reato di corruzione di minore". La pena: anni due e mesi 6 di reclusione e euro mille di multa.

Ne parlo in questa rubrica perché il sentire comune ritiene che il reato di pedofilia che sta devastando il mondo ecclesiale non solo cattolico, sia da imputarsi all'obbligo celibatario imposto ai preti cattolici di rito occidentale. Come ho già scritto altre volte, non nego che questa opinione comune abbia un fondo di verità, purchè rimanga solo al ruolo di fondo. Il sesso fa male ad una persona malata di sesso e di perversioni annesse e connesse, sia che vesta la tonaca da prete o da suora, sia che indossi il doppiopetto o l'abito lungo di persona rispettata nella società.

Mi fermo sulla condanna di don Martinelli perché è coinvolta la mia diocesi. Per chi non lo sapesse don Martinelli è prete della diocesi di Como in quanto la Pia Opera del Divin Prigioniero, istituto religioso al quale don Martinelli appartiene (o apparteneva), è sottoposto all'autorità del vescovo di Como perché il fondatore – il venerabile don Giovanni Folci – era un prete di questa diocesi.

È la prima volta, nella storia, che il Tribunale vaticano condanna un prete per reati di corruzione di minore commessi nel territorio dello Stato pontificio e non è piacevole essere i primi della lista.

Prima di continuare nel commento, riassumo la vicenda per chi non la conoscesse o per chi non la ricorda bene.

Il preseminario è un istituto di orientamento vocazionale che ogni anno accoglie ragazzi delle scuole medie e superiori provenienti dalle diocesi italiane e anche da molti paesi del mondo. Fino ad un paio d'anni fa la sede era proprio dentro le mura vaticane, a palazzo San Carlo, in piazza Santa Marta, accanto alla residenza del Papa. Anch'io vissi in quel palazzo per due estati, su invito di un mio insegnante di filosofia. Molti preti che apprezzo sono "folcini", come li classificavamo noi. Fra questi preti che continuo ad apprezzare vi è anche don Enrico Radice che è stato ordinato prete assieme all'attuale nostro vescovo di Como (che non ho capito perché è stato onorato della porpora cardinalizia, ma questo è un problema imputabile alla mia scarsa intelligenza) e che è stato coinvolto nella vicenda Martinelli perché, a quei tempi, era rettore del Preseminario. Non ho mai parlato con don Enrico, anche perché non l'ho più incontrato, ma penso che sia anch'egli vittima di questa squallida vicenda. Le responsabilità, a mio avviso, vanno cercate altrove.

Noi (mi ci metto anch'io, pur non essendo mai stato prete dell'Opera don Folci) ragazzi del preseminario eravamo noti, a Roma ma anche nelle diocesi di tutto il mondo, come i "chierichetti del papa" perché i miei compagni che stavano in preseminario tutto l'anno, oltre a studiare curavano anche il servizio liturgico nella basilica di San Pietro, comprese le celebrazioni papali. Il Papa, dopo vicenda Martinelli, ha deciso di sloggiare il preseminario dal Vaticano e, mi pare un paio d'anni fa, i preti dell'Opera don Folci si sono dovuti dar da fare per trovare un altro posto fuori dalle mura vaticane.

La vicenda Martinelli balza alla ribalta della cronaca nel 2017, in seguito alle testimonianze raccolte da Gianluigi Nuzzi nel libro "Peccato originale". Nuzzi intervistò Kamil Jarzembowski, polacco, compagno di stanza di un allievo vittima di abusi e di cui Martinelli era tutore. Entrato nel preseminario nell'estate del 2009, Jarzembowski assistette ad alcune violenze che tentò di denunciare inviando lettere a monsignori e prelati. Fu allontanato dal preseminario. Soltanto diversi anni dopo, nel 2016, incontrò Nuzzi a cui mostrò le denunce e fece ascoltare alcune registrazioni. Nel frattempo, Martinelli era stato ordinato sacerdote.

L'allievo vittima di abusi decise di denunciare il fatto alla giustizia del Vaticano. La procura vaticana chiese il rinvio a giudizio di Martinelli nel 2019. Nonostante gli abusi fossero di diversi anni prima, il rinvio a giudizio fu possibile grazie un provvedimento preso da papa Francesco che rimosse il vincolo di improcedibilità: era un vincolo che impediva il processo in assenza della querela presentata dalla persona offesa entro un anno dai fatti contestati.

Secondo l'accusa, Martinelli usò «violenza e minaccia, sia in modo esplicito sia implicito, abusando dell'autorità che scaturiva dall'essere tutore» in quanto frequentatore più anziano del preseminario, incaricato dal rettore di occuparsi dell'attività dei preseminaristi. Avrebbe quindi abusato della «relazione di fiducia» costruita sulla base del suo ruolo, e costretto «più volte e per più anni, in giorni, tempi e luoghi diversi» la vittima «a congiunzione carnale».

Don Martinelli è stato condannato. Non so che ruolo oggi svolga nella mia diocesi. Qualche santo protettore da qualche parte l'avrà, perché so di preti che, per molto meno, sono stati ridotti allo stato laicale o dimessi dallo stato clericale, come si ama dire oggi con una bella spalmata di vaselina per attenuare il bruciore. E non va bene. Non va bene che si continui a tutelare chi è colpevole. C'è un prete della diocesi che è finito in carcere, un altro che è stato allontanato ed ha dovuto ricrearsi una vita senza la minima solidarietà di qualcuno. Non hanno commesso abusi e non si sono comportati come don Martinelli.

La diocesi di Como, alla notizia, ha emesso questo comunicato: "La Diocesi rinnova il ringraziamento a tutte le persone che hanno contribuito a ricercare la verità e – in attesa della definitività di tutti i giudizi ancora pendenti – ribadisce la solidarietà e vicinanza nei confronti di tutte le persone e le comunità ecclesiali che sono state pesantemente segnate da questa lunga e complessa vicenda umana e giudiziaria. Nei confronti dei due sacerdoti permangono tuttora alcune misure cautelari canoniche, tra le quali la limitazione dell'esercizio del ministero e la sospensione dallo svolgimento di attività pastorali che coinvolgono minori e adulti vulnerabili. La Diocesi di Como conferma il proprio impegno nella tutela dei minori e degli adulti vulnerabili". Il solito, scarno comunicato, molto impersonale.

E la credibilità dell'istituzione chiesa perde un altro colpo.

LA LUSSURIA È PRODOTTO UMANO

(20-01-2024). Osservo che si dà una certa enfasi all'ultimo intervento del Papa sull'amore sessuale. Forse perché è un po' strano che un Papa parli d'amore fisico o, forse, perché il prurito sessuale è più piacevole di altri.

Ho letto con attenzione l'intervento di Papa Francesco che, del resto, non dice nulla di più di quanto disse alla giornata della gioventù nel 2018. Concordo in toto con le riflessioni del Papa in materia di sessualità, ma mi spiace constatare che manca sempre un tassello che, a mio parere, è fondamentale per risolvere una volta per tutte la storia del sesso umano. Il tassello potrebbe avere un titoletto: la lussuria è un prodotto umano.

Per spiegarmi la prendo un po' alla larga.

Nella storia del sesso o della sessualità dei popoli di tutti i tempi e di tutte le latitudini c'è alla base un fondo comune che è semplicemente naturale: il sesso serve alla propagazione della specie, di tutte le specie: animali e vegetali. Basta osservare la Natura o ricordare quanto abbiamo studiato a scuola fin dalle medie inferiori. Gli animali, i mammiferi in particolare, quando arriva la stagione degli amori, si danno un gran da fare per perpetuare la specie. Anche qui, basta seguire qualche buon documentario televisivo ben fatto o leggere riviste specializzate. Chi si scandalizza se i cervi maschi ingaggiano lotte fra loro per avere il diritto dello ius primae noctis sulle femmine in calore?

Mi accorgo che ho scritto ius primae noctis, roba umana. Ecco chi ha fatto del sesso naturale – o della naturalità del sesso - una lussuria! L'Uomo. Basta leggere qualche libro di etnologia o di antropologia e non ci vorrà molto a capire che, anche qui, siamo riusciti a crearci un problema. Chissà perché. Oppure basta leggere un po' di Deuteronomio o di Levitico (libri della Bibbia) che convivono con il Cantico dei Cantici citato dal Papa: si rimane esterrefatti dalle normative di purificazione sessuale e da come viene trattata la donna in età feconda.

Il Papa parla della "pornèia", sostantivo greco che usiamo anche noi quando parliamo di pornografia, ma – anche qui – si ferma al primo gradino. Non capisco il motivo. I greci – che in fatto di sesso erano un po' più disinvolti di noi, ma erano anch'essi complessati – hanno dato un gran contributo alla visione lussuriosa della sessualità e questo contributo, unito a quello veterotestamentario, è giunto fino ai giorni nostri.

Il cittadino maschio greco aveva a disposizione tre sostantivi per definire la femmina: gunè (la moglie legittima), etèra (la compagna con cui si trovava bene dal punto di vista intellettuale e con la quale avrebbe potuto fare anche sesso, da qui deriva "escort") e pornà (la femmina esperta di ogni perversione sessuale). I romani, anch'essi figli del prurito sessuale, frequentavano i lupanari che si chiamavano così perché la lupa era considerata l'animale più corrotto dal punto di vista sessuale. La lupa, del resto, allattò Romolo e Remo che, raccolti dal pastore Faustolo dopo che la loro mitica madre Rea Silvia, (figlia di Numitore, perseguitata dallo zio Amulio usurpatore del trono, fu costretta a farsi vestale; in seguito, fecondata miracolosamente da Marte mentre dormiva presso una fonte) fu imprigionata ed uccisa per aver partorito i due gemelli, diede i bambini a sua moglie Acca Larentia perché li nutrisse. E chi era la moglie di Faustolo? Per il suo passato poco commendevole, era chiamata lupa. Da qui i lupanari ed è interessante sapere che, all'origine del popolo che divenne la potenza militare e politica ancora più studiata al mondo, vi fosse una "lupa", una prostituta. Senza il latte di quella meretrice, Romolo non avrebbe potuto fondare Roma.

Ma torniamo a noi. Siamo noi umani che abbiamo problematicizzato il sesso e la sessualità. Noi abbiamo creato vestali, vergini, celibi, casti, templi dove solo le vergini potevano pregare per il popolo, cenobi dove maschi rinunciano alla vita sessuale per sublimarla per la divinità. Noi umani abbiamo creato i bordelli, gli sexy shop, la biancheria intima sexy e abbiamo fatto del maschio e della femmina oggetto di lussuria.

Provare a tornare alla Natura? Troppo difficile?

Sì, per tante ragioni. Crollerebbero economie e religioni, gli avvocati rimarrebbero senza lavoro, ecc. ecc. ecc.

GESU' ERA CELIBE, ERGO…

(02-12-2023). E così il Papa ha stabilito che, siccome Gesù era celibe, i sacerdoti di Gesù devono essere celibi. Così dice il "Messaggio del Santo Padre Francesco a firma del Cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, per l'incontro dei Seminaristi di Francia" del 1° dicembre 2023.

E lo dice da subito, appena dopo i convenevoli: "…al cuore di questa identità, configurata al Signore Gesù, si trova il celibato. Il sacerdote è celibe — e vuole esserlo — semplicemente perché Gesù lo era. L'esigenza del celibato non è anzitutto teologica, ma mistica: «chi può capire, capisca!» (Mt 19, 12)". Lasciando perdere il fatto che il celibato di Gesù è ancora tutto da dimostrare, interessante è apprendere che il Papa che ha dato speranze a cattolici che da decenni cercano di dialogare con i Pastori sulla riforma della Chiesa si siano puntualmente ritrovati sbattuti la porta in faccia da un Papa che all'inizio sconcertava tutti. Chi non ricorda battute da coup de théâtre: "…chi sono io per giudicare un gay? (29-7-2013) ... il celibato è nella mia agenda (20-2-2015)" … e così via o le commissioni create ad hoc per pedofilia del clero (membri che si dimettono in serie, in genere laici), finanze vaticane (Chaouqui, Pena Parra… Becciu…) e via elencando che promettevano pulizia quasi come ai tempi di Robespierre? Tutto andato in niente. O quasi.

Parole… parole… parole? Un po' sì perché si era capito subito che il Papa cercava popolarità. Un po', no perché mi metto nei panni di quest'uomo che ha accettato di succedere ad un papa dimissionario e vivente (Benedetto XVI avrebbe vissuto per 10 anni) prendendo in mano la barra di una nave che da decenni naviga in un mare sempre procelloso avendo come nostromi e mozzi gente che rema contro. Se ci mettiamo l'età e la salute, fa già fin troppo.

Ma torno al Papa possibilista sul celibato, al Papa che è andato a visitare sette famiglie di preti sposati (11-11-2016) anche se la Sala Stampa Vaticana – dando la notizia – si è affrettata a precisare con il solito linguaggio felpato che "In questo modo – conclude la nota – ancora una volta, Papa Francesco ha inteso dare un segno di misericordia a chi vive una situazione di disagio spirituale e materiale, evidenziando l'esigenza che nessuno si senta privato dell'amore e della solidarietà dei Pastori"; torno al Papa che ha ricevuto un prete francese che ha chiesto la dispensa (chissà perché solo lui); al Papa che ha detto ad un vescovo che farebbe qualcosa sul tema del celibato se le conferenze episcopali lo facessero (la mia fonte è di prima mano); a questo Papa, insomma, che – con tutto il rispetto per l'età, il ruolo ed anche per lo stato di salute – mi apparve fin da subito sempre più come il classico "sor Tentenna" o, per dirla con Dante, mi sembra "… quei che disvuol ciò che volle/e per novi pensier cangia proposta,/sì che dal cominciar tutto si tolle"… Torno al Papa che continua a ripetere che la donna ha una marcia in più del maschio e che coinvolge le donne ai vertici dei dicasteri curiali, ma non ha mai risposto (che io sappia) a donne che gli hanno chiesto udienza per parlare di celibato.

Ai seminaristi di Francia ha detto: "È per questo che vi dico: grazie! Grazie perché donate gioia e speranza alla Chiesa in Francia che vi attende e ha bisogno di voi. E ha bisogno di voi affinché siate ciò che il sacerdote deve essere, ciò che è sempre stato e che sarà sempre per volontà divina: partecipe "della autorità con la quale Cristo stesso fa crescere, santifica e governa il proprio corpo " (Presbyterorum ordinis, n. 2); e questo mediante un'ineffabile configurazione a Cristo, Capo della sua Chiesa, che lo pone di fronte al Popolo di Dio — benché egli ne faccia sempre parte — per istruirlo con autorità, guidarlo con sicurezza e trasmettergli efficacemente la grazia attraverso la celebrazione dei sacramenti (cfr. Ibidem. n. 4, 5, 6). Nel momento più alto, fonte e apice della vita della Chiesa e della sua vita personale, il sacerdote celebra la messa dove, rendendo presente il sacrificio di Cristo, si offre in unione con Lui sull'altare e vi depone l'offerta di tutto il Popolo di Dio e di ogni fedele". Così dicendo, ha detto tutto. Tutte cose vere, per carità, ma scontate e stantie, frutto di una teologia evoluta postridentina, ringiovanita da un po' di lifting del Vaticano II; una teologia che continua a parlare a sé stessa per sentirsi viva.

Le sottolineature sono mie. Sacerdote? C'è un solo discorso di Gesù che dice agli apostoli che sono sacerdoti? A me risulta che ha parlato a tutti, lasciando libertà di scelta (…"chi vuole venire dietro a me… "se vuoi, va' vendi quello che hai…") e dicendo a tutti coloro che avrebbero avuto voglia di seguire la sua Parola ed il suo esempio: "Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga". Tutti noi credenti in Lui, nel suo messaggio, nel suo "decalogo" delle Beatitudini dobbiamo "andare e portare frutto".

Volontà divina? Chi ha stabilito che sia volontà divina il sacerdozio o che lo siano i sacramenti? Dio? Quando l'avrebbe fatto? Gesù o lo Spirito? Quando?

Autorità. Siamo stanchi di autorità, di tutte le autorità di ogni ordine e grado. Non ce ne facciamo nulla delle autorità che occupano i primi posti nelle nostre assemblee liturgiche e nelle circostanze civili mascherandosi con divise religiose, militari, fasce da sindaco et similia. Non cerchiamo autorità. Cerchiamo persone autorevoli. Se le trovassimo, le seguiremmo. Proprio come fece la gente di Palestina che seguì Gesù perché "…parlava con autorità e non come i loro scribi".

"Non spaventatevi troppo: nessuno ha il potere di cambiare la natura del sacerdozio e nessuno la cambierà mai, anche se le modalità del suo esercizio devono necessariamente tener conto delle evoluzioni della società attuale e della situazione di grave crisi vocazionale che stiamo vivendo". Ho qualche dubbio che nessuno abbia il potere di cambiare la natura del sacerdozio, ma posso accettarlo se mi viene dimostrato che la natura del sacerdozio cattolico abbia un fondamento in Cristo. Interessante è che il Papa affermi che le modalità dell'esercizio del sacerdozio devono necessariamente tener conto delle evoluzioni sociali che, come sottolinea nel prosieguo, evidenziano che "…l'istituzione ecclesiale, e con essa la figura del sacerdote, non viene più riconosciuta; ha perso agli occhi della maggior parte della gente ogni prestigio, ogni autorità naturale, e, purtroppo, è addirittura infangata. Non bisogna quindi più contare su di essa per trovare ascolto presso le persone che incontriamo". Verissimo. Fra queste evoluzioni sociali che obbligano a rivedere il servizio ministeriale non vi è anche quella che riguarda il sesso della persona che si pone o propone o riceve la proposta di essere al servizio di una comunità? Deve essere necessariamente, obbligatoriamente, indiscutibilmente maschio e celibe?

Il Papa avverte i seminaristi francesi che debbono farsi bastare Gesù. "…se Gesù mi basta, non ho bisogno di grandi consolazioni nel ministero, né di grandi successi pastorali, né di sentirmi al centro di vaste reti relazionali; se Gesù mi basta, non ho bisogno di affetti disordinati, né di notorietà, né di avere grandi responsabilità, né di fare carriera, né di risplendere agli occhi del mondo, né di essere migliore degli altri; se Gesù mi basta, non ho bisogno di grandi beni materiali, né di godere delle seduzioni del mondo, né di sicurezze per il mio futuro. Se, al contrario, soccombo a una di queste tentazioni o debolezze, è perché Gesù non mi basta e io vengo meno all'amore". Anche questo è vero. Il diavoletto che c'è in me mi fa pensare male e mi fa venire voglia di chiedere al Papa se non ha fatto proprio nulla per essere superiore dei gesuiti, vescovo ausiliare di Buenos Aires, accettare il titolo di vescovo ordinario di Buenos Aires (che prima delle sue "innovazioni" era legato alla porpora cardinalizia) e, infine, di arrivare al massimo vertice della carriera ecclesiastica. Ma questi sono pensieri cattivi di un cattolico in volontario esilio che continua a provare come "sia duro calle scender e salir per l'altrui scale", per dirla sempre con Dante. Il Papa ha una sua coscienza e non ha bisogno di una linguaccia come la mia che gli faccia la predica. Per rendere vera, credibile, profetica questa sua affermazione potrebbe fare una cosa: rimandare nelle parrocchie delle diocesi di appartenenza tutti i preti, vescovi e cardinali che sono in zona "potere romano" da quando sono stati ordinati preti. Succederebbe un terremoto? Sì, ma così tutti avrebbero la possibilità di riflettere sul monito del card. Federigo a don Abbondio: "E quando vi siete presentato alla Chiesa per addossarvi codesto ministero, v'ha essa fatto sicurtà della vita? V'ha detto che i doveri annessi al ministero fossero liberi da ogni ostacolo, immuni da ogni pericolo"?

In ogni caso: Gesù era maschio e celibe. Quindi i preti – anzi, i sacerdoti – di Gesù devono essere maschi e celibi. Ci sono preti cattolici di rito orientale che obbediscono al Papa di Roma e sono sposati? E va be'! Non stiamo a sottilizzare!

Qualcuno mi dice che sbaglio, ma mi sento molto bene nel mio volontario esilio. Non ho perso la fede, ho modo di renderla più autentica, sono comunque disponibile quando qualcuno ritiene che possa esser d'aiuto e sto meglio così. Ho scelto di "… lasciare che i morti seppelliscano i morti" e di concentrarmi su Gesù. L'ho capito tardi perché prima, ostinatamente, pensavo di poter essere d'aiuto alle guide della mia comunità cristiana. Non è andata così. Potrei dire per loro ostinata cecità mascherata da affettata cortesia, ma a che serve? Loro potrebbero ribadire che non sono stato capace di propormi come si conviene. 

PRETI E AFFETTIVITA' PIU' CLERICALISMO LAICO

(04-11-2023). Chiara D'Urbano, psicologa, laica, una delle tre donne che lo scorso anno papa Francesco ha nominato tra i consultori del Dicastero per il clero, ha rilasciato ad Avvenire un'intervista che anticipa i temi oggetto di riflessione del convegno internazionale per la Formazione permanente dei sacerdoti che avrà luogo nel febbraio prossimo in Vaticano.

Alla domanda: "Quali sono gli aspetti su cui i preti avvertono in modo più urgente il bisogno di formazione"? la psicologa, dopo aver dato una pennellata d'olio al cardinale presidente del dicastero, risponde dicendo che i risultati di un sondaggio che non ho capito quando ha avuto luogo e il tipo di platea oggetto del sondaggio risponde che: "…emergono interrogativi identitari urgenti: chi è il presbitero oggi? Cosa ci si attende da lui? Sulla stessa linea di trasformazione della cristianità, l'importanza di recuperare la dimensione spirituale, spesso sacrificata ai carichi di lavoro, è un altro aspetto centrale che le risposte hanno restituito". Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Il Dicastero aveva bisogno di sentirsi dire dal popolo dell'orbe terraqueo che il prete diocesano ha bisogno di ricuperare una vita spirituale e che il parroco è oberato da carichi di lavoro. Non sono riusciti ad arrivarci da soli? Da quanti anni (per quanto sappia io: almeno tre decenni) dall'Ecclesìa non considerata dalla Gerarchia e dai cortigiani si parla di questo?

La psicologa prosegue spiegando che: "Abbiamo tutti bisogno di sentirci incoraggiati nella vocazione che viviamo. Tuttavia, non possono essere taciute anche le fatiche di molti presbiteri sulla cui vita pesa l'esperienza della solitudine. Si cercherà, quindi, di dare un respiro universale, non solo in senso geografico, ma anche di sensibilità e di vissuti dei presbiteri nel mondo, perché ognuno si senta riconosciuto e sostenuto". No comment.

Alla domanda: Parlerete anche dei temi legati all'affettività e alla sessualità? La risposta è il più clericale possibile: "Sì, un'attenzione necessaria, secondo il sondaggio, è anche quella che riguarda la vita affettiva, di cui oggi c'è maggiore consapevolezza nella vita del sacerdote, per troppo tempo gravato da un disconoscimento della sua dimensione umana. Certamente sono temi che rendono necessari anche nuovi strumenti per il servizio pastorale e di accompagnamento, come è emerso dal Sinodo dei vescovi appena concluso". Secondo no comment.

Pur sapendo che un'intervista non può rispecchiare il pensiero dell'intervistata è il tono che mi delude. Tono classico felpato, clericale, diplomatico, che dice e non dice, accenna ma non esplicita… E' il nuovo clericalismo della chiesa anticlericale.

PARTURIENT MONTES…

(27-10-2023). "Io donna" (Corriere della Sera) racconta il nuovo libro-intervista del Papa: Non sei solo. Sfide, risposte, speranze (Salani), i cui autori sono il Papa stesso e due giornalisti, Francesca Ambrogetti (agenzia Aci Stampa) e Sergio Rubin. Il mensile del Corriere estrapola le dichiarazioni/riflessioni papali sulla figura della donna. Eccone alcune.

Alla donna «non spetta il principio petrino bensì quello mariano, che è più importante (…) Il fatto dunque che la donna non acceda alla vita ministeriale non è una privazione, perché il suo posto è molto più importante». Premesso che il libro va letto (lo farò) e una frase del genere spero che sia inserita in un contesto un po' intelligente, devo dire che, presa così, è almeno ridicola. C'è un Papa che dall'alto della sua autorità dice autorevolmente alla femminuccia che sgomita per diventare preta: "Sta' tranquilla. Di che ti preoccupi? Sei la "Maria, la Miriam" del Vangelo. Preferisci essere la Madre di Gesù o quel povero Pietro che non voleva che gli lavassi i piedi e, quando gliel'ho spiegato, allora voleva che gli facessi la doccia? Sei più importante tu, nella Chiesa, di me. Mi chiedo se ci sono ancora donne che s'accontentano di una tale risposta.

"il sacerdozio femminile «è un problema teologico». In teoria, una donna potrebbe essere cardinale, visto che «il cardinalato non è collegato al sacramento dell'ordine, bensì alla funzione di consigliere del Papa» Anche se «un cardinale può eleggere il pontefice. E il papa viene scelto dai vescovi perché è vescovo di una diocesi, è vescovo di Roma. L'importante quindi è che gli elettori siano vescovi, non cardinali. Di fatto, potrei emettere un decreto che modifica i requisiti per entrare nel conclave e permettere di partecipare a un vescovo che non è cardinale. Dal punto di vista dogmatico non ci sarebbero problemi. Ma, chiaramente, se una donna non può accedere al sacerdozio, meno che meno potrà accedere all'episcopato» Confusione totale. Il Papa parla del sacerdozio femminile e, subito dopo, del cardinalato. Sono due cose distinte, per fortuna. Se ne accorge mentre parla e s'inciampa. Il suo predecessore, quando era ancora Prefetto della Congregazione della Fede, aveva dichiarato che non vi sarebbe stato ostacolo al fatto che una donna fosse creata cardinale. Nessuno gli chiese se avesse potuto essere eletta Papa e Ratzinger finì anche per fare bella figura. Il Papa conclude il suo "pensiero" lapalissianamente: se una donna non può essere ordinata preta, non potrà diventare vescovo e, quindi, anche se modificasse i requisiti per entrare in Conclave, la donna potrebbe essere elettrice, ma non eletta. Un casino. Ma il Papa prosegue: «C'erano opinioni diverse sul fatto che avessero o meno il sacramento dell'ordine», spiega Bergoglio. «Non è una questione irrilevante perché l'ordine sacro è riservato agli uomini. Ricordiamo che il diaconato è il primo grado dell'ordine sacro nella Chiesa Cattolica, seguito dal sacerdozio e infine dall'episcopato». Qui - tomo, tomo, quatto, quatto – dice che l'ordine sacro è riservato ai maschi, ergo… si potrebbe ordinare diaconesse (com'era nella Chiesa delle origini), ma siccome il diaconato è il primo gradino della gerarchia ecclesiastica, ergo…

E così la pensa il Papa sulla donna ed il suo ruolo nella Chiesa. È lo stesso Papa che esorta a sentire l'odore delle pecore, che parla di Chiesa in uscita et similia? Sì, è la stessa persona. Come facciano i cardinali ed i cattolici conservatori a dare addosso a questo povero Cristo, non riesco proprio a capirlo. È come "quei che disvuol ciò che volle e per novi pensier cangia proposta, sì che da cominciar tutto si tolle" per dirla con Dante (Inferno, canto II).

Già che ci siamo riportiamo anche cosa pensa il Papa del celibato obbligatorio per i preti. «È una questione disciplinare, il che implica che un Papa potrebbe disporre che diventi opzionale». Non è cioè, una questione teologica, come il sacerdozio maschile. Quindi, si può cambiare: dunque un domani i preti potrebbero sposarsi. «Che lo disponga, se lo riterrà opportuno, il mio successore»… È chiaro che se uno lo vive male, il celibato è una tortura, diventa impossibile. Ma non è meno vero che se uno lo vive con la fecondità del ministero che ha scelto, non solo è sopportabile, ma anche bellissimo. È ovvio che ci vuole la vocazione». Si deduce che: 1. La teologia non si tocca. La teologia dice che il sacerdozio deve essere maschile, ergo… le femminucce siano paghe di rivestire nella chiesa il ruolo mariano (vedi inizio di questo articolo). 2. Il celibato del clero è una questione disciplinare (lo sapevamo, Santità, lo sapevamo e lo diciamo da almeno 40 anni) e quindi si può cambiare. Chi lo può fare? Il prossimo pontefice. Bella questa. L'ho già sentita. Quando incontrai il card. Ratzinger per fare un ragionamento sul celibato del clero (qui non riporto la cosa perché un po' riservata e comunque ci porterebbe lontano) ad una mia proposta egli rispose: "Con questo papa (era Giovanni Paolo II) non si può fare. Forse con il prossimo". Naturalmente non sapeva che il prossimo sarebbe stato lui (correva l'anno 1985). Venne il suo turno e tutto rimase immutato. Adesso è il turno del Papa che sembra che abbia iniziato il suo ministero dicendo al maestro delle cerimonie che gli porgeva la mozzetta rossa filettata di ermellino: "Questa se la metta lei!" e che salutò la gente con un "Buonasera", mica con quello stantio "Sia lodato Gesù Cristo". Il Papa che viene dalla fine del mondo, dal mondo della teologia della liberazione, dal mondo delle favelas, ecc. ecc. ecc. Anche questo Papa rimanda la patata bollente al suo successore. Che sappia io siamo al terzo giro di palla. Paolo VI disse che sarebbe morto piuttosto che rendere facoltativo il celibato del clero e che avrebbe lasciato la cosa al suo successore. Il successore (Giovanni Paolo II – Giovanni Paolo I, si sa, ebbe appena il tempo di capire dove si trovava) non stette a por tempo in mezzo: sparò subito una lettera Apostolica (la Per litteras ad universos) dove dettava nuove condizioni per la riduzione allo stato laicale dei preti e poi dedicò un'enciclica ed un'esortazione apostolica al celibato obbligatorio. Il successore del successore di Paolo VI (Benedetto XVI) non toccò l'argomento, se non in discorsi vari. Arriva finalmente l'uomo della Provvidenza (così ce lo presentano i fans) e che fa? Fa un Sinodo sull'Amazzonia dove il tema del celibato emerge fra gli altri e lui, nisba. Fa un Sinodo sulla Sinodalità dove il tema emerge ancora nelle singole chiese locali che lavorano per due anni per preparare il Sinodo e lui che fa? Ci pensa il mio successore.

Parturient montes et? Et nascetur ridiculus mus.

SE NE E' PARLATO…

(24-10-2023). Venerdì scorso, 20 ottobre, in uno dei "circuli minores" è stato affrontato il tema del celibato del clero e del diaconato delle donne. Non so come sia stato gestito il dibattito, ma mi basta sapere che il tema è emerso e penso che un contributo importante a questo tema l'abbia dato la Chiesa tedesca che ha fatto pervenire il documento che riporto integralmente in fondo a questo articolo. Ecco l'ultima parte di quel documento: "L'Assemblea sinodale esorta la Conferenza Episcopale Tedesca:

a) coltivare uno scambio intenso con i sacerdoti sospesi e dispensati contrastandone il senso di estraniazione;

b) dare la possibilità ai sacerdoti dispensati di fare domanda di lavoro per tutte le posizioni aperte nell'ambito della Chiesa alle quali possono candidarsi i laici. L'integrazione in un ministero pastorale dovrà essere possibile come nel rescritto rinnovato. La questione di quale prospettiva possa esservi nella Chiesa per un sacerdote che ha abbandonato il ministero con dispensa viene posta già ora al relativo vescovo con la nuova versione dei rescritti di dispensa; ciò comprende anche un riconoscimento positivo e l'incoraggiamento al dispensato a impegnarsi contribuendo con i propri talenti e doni.

All'uopo l'Assemblea sinodale incarica la Conferenza Episcopale Tedesca e il Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi di costituire un gruppo di lavoro che veda la partecipazione dei sacerdoti sospesi e dispensati e con i seguenti compiti:

a) raccogliere esempi di migliori pratiche ai fini di una gestione dei sacerdoti sospesi e dispensati da parte delle diocesi che possa dirsi convincente sotto il profilo umano (inviti periodici a un confronto nel quale possano essere chiarite anche questioni relative all'integrazione, gli organi, lo schematismo...), nonché affidarne l'attuazione alle diocesi.

b) elaborare norme giuridiche vincolanti e certe, che si rifacciano ai principi della società civile, analogamente alle procedure seguite nei casi in cui altri operatori e operatrici pastorali lasciano la professione, per l'assunzione dei sacerdoti dispensati nel servizio pastorale.

Ho riportato la conclusione delle proposte della Chiesa tedesca perché mi suonano familiari, molto, troppo familiari. Sono le stesse cose che mia moglie ed io dicevamo e ripetevamo ad ogni incontro pubblico, privato, dibattito televisivo, intervista a partire, più o meno, dal 1990. Non so come andranno le cose e come sarà gestito il Sinodo, dubbioso come sono che la tanto declamata e proclamata disponibilità totale alla guida dello Spirito sappia tanto di facciata, sia un flatus vocis più che una convinzione dell'animo dei sinodali. Spero d'ingannarmi anche su questo cattivo pensiero e che lo Spirito del Signore che riempie l'universo, che abbraccia ogni cosa e, proprio per questo, conosce ogni parola (antifona d'ingresso della messa di Pentecoste) accenda il fuoco nel cuore di tutti i sinodali, come fece in quel giorno in cui tutte le persone che erano nel Cenacolo per paura dei giudei furono scosse da quella fiamma d'amore che li costrinse ad uscire ed a proclamare, senza paura di nessuno, "magnalia Dei", le grandi opere di Dio.

Se sarà così, inizierà la vera riforma della nostra Ecclesìa e prenderà corso un nuovo cammino lento, ma inesorabile dove anche il servizio ministeriale avrà un senso diverso.

RIFLESSIONI DEL SINODO TEDESCO SUL CELIBATO DEL CLERO

Ecco il testo Testo di attuazione: Il celibato dei sacerdoti – rafforzamento e apertura Decisione del Cammino sinodale adottata dall'Assemblea sinodale il 9 marzo 2023 intitolato: Voti concernenti il celibato dei sacerdoti diocesani

Introduzione.

La questione del celibato sacerdotale è per molti credenti motivo di turbamento. Il testo rende quindi trasparente il "discernimento degli spiriti" inteso come metodo spirituale d'indagine di sé stessi.

Le nostre riflessioni esordiscono con sette "sì". (In realtà sono otto, ma non sottilizziamo.)

Sì alla sacramentalità della Chiesa.

Sì al sacerdozio sacramentale che per la nostra Chiesa cattolica è altrettanto fondamentale del sacerdozio comune di tutti i battezzati e al servizio del quale il sacerdozio sacramentale si pone.

Sì al fatto che chiunque possa fare esperienza di sacerdoti che negli alti e bassi dell'esistenza umana possano promettere la salvezza che Dio vuole donare e renderla esperibile.

Sì a un ministero sacerdotale che permetta di sperimentare nei modi più diversi la presenza costante e l'efficacia di Gesù Cristo nel mondo.

Sì, affinché questo ministero divenga una caratteristica fondamentale dell'intera esistenza tanto da poter essere percepita come autentica testimonianza di vita.

Sì a una forma di vita sacerdotale improntata ai consigli evangelici della povertà, dell'obbedienza e della castità laddove in questa sede tratteremo principalmente di quest'ultima.

Sì, affinché il celibato di un sacerdote diocesano possa essere una testimonianza adeguata, un simbolo concreto di una vita orientata al Signore e al servizio dell'uomo. Esso è corroborato da una lunga tradizione, dall'esperienza spirituale e dalla forza unificatrice della scelta celibataria che accomuna molti sacerdoti. Percepiamo un'inquietudine nel popolo di Dio che perdura ormai da diversi decenni e che va aumentando anziché scemare, un'inquietudine che non riguarda tanto il celibato di per sé che, alla stregua di qualunque altro stile di vita, ha punti deboli e punti di forza, che comporta momenti di gioia e di rinuncia e che racchiude strumenti di sostegno alla vita ma anche pericoli.

In questa sede si accenna solo brevemente alle innumerevoli difficoltà di una vita celibataria condotta al di fuori delle comunità e tra le quali vi sono la solitudine, il rischio di assuefazione, le incertezze legate all'avanzare dell'età, ecc.

Siamo inoltre consapevoli delle deformazioni che il celibato vissuto può assumere. Essendo venuti meno i suoi pilastri portanti (quali sono o erano i pilastri portanti? Il documento non lo dice – ndr)., il celibato è nel frattempo divenuto uno stile di vita precario; per esempio, sono scomparsi modelli in cui più persone, spesso legate al sacerdote da un grado di parentela, vivevano tutte insieme in una grande casa parrocchiale. Anche la convivenza di più sacerdoti nella canonica di grandi comunità parrocchiali o associazioni (vita communis) è ormai un fenomeno raro. Occorre poi ricordare come sia pressoché venuto ormai meno anche quel prezioso servizio reso per lungo tempo dai custodi e dalle custodi delle parrocchie che vivevano in canonica insieme ai sacerdoti. Tutto ciò comporta conseguenze che devono essere considerate.

Per decenni la formazione sacerdotale ha fondato la praticabilità del celibato sull'aspetto dell'integrazione in una famiglia parrocchiale che però nelle comunità più grandi si è ormai disgregata, proprio come la ricchezza di incontri, spesso ricordata, con le varie generazioni presenti in una parrocchia. Tutti questi punti presuppongono che vita natural durante si lavori sulla propria capacità di instaurare relazioni, un lavoro che è principalmente responsabilità del sacerdote ma che deve pur sempre essere reso possibile attraverso la formazione, l'aggiornamento, l'opera dei superiori e le regole ecclesiastiche.

Una trattazione differenziata di tutti questi aspetti andrebbe oltre i limiti di questo testo di attuazione. L'inquietudine che avvertiamo rispetto al celibato non attiene quindi al celibato in sé, bensì riguarda il dubbio che questo stato costituisca una scelta obbligata per tutti coloro che intendono abbracciare il sacerdozio, oppure se siano invece opportune varie opzioni di scelta. Nella tradizione del discernimento degli spiriti, l'inquietudine interiore, così come la serenità interiore, sono sintomi che vanno presi sul serio e che chiedono di essere distinti in quanto è attraverso questi ultimi e in essi che Dio può operare.

È possibile che per il tramite di questa inquietudine Dio voglia comunicarci qualcosa? In termini più concreti, si tratta di considerare i seguenti aspetti:

  • Il celibato non è l'unica testimonianza adeguata della sequela di Gesù perché anche il matrimonio sacramentale simboleggia l'amore e la fedeltà indissolubile di Dio verso il Suo popolo, come già affermato nella Lettera agli Efesini.
  • Al più tardi a partire dal Concilio Vaticano Secondo non si può più sostenere responsabilmente una supremazia dello stile di vita celibatario. Le vocazioni, nella loro ampia varietà, hanno bisogno le une delle altre e si sostengono vicendevolmente.
  • Allorquando i sacerdoti vivono sia il matrimonio che il celibato, si verifica un arricchimento complessivo della testimonianza di vita sacerdotale.
  • Fermo restando il valore del celibato ecclesiastico, vi sono stati anche filoni della tradizione che lo hanno giustificato assumendo posizioni di chiusura rispetto alla carnalità e alla sessualità. L'idea della purezza cultuale, ad esempio, non è una categoria utile in quanto ha contribuito ad una esaltazione in senso clericalistico.
  • Anche le considerazioni economiche che potevano essere rilevanti in epoca alto medioevale (diritto di ereditare prebende, ecc.) hanno ormai perso qualsiasi fondamento.
  • A ciò si aggiunge il fatto che alcuni uomini scoprono, nel corso di un intenso processo che prelude o segue l'ordinazione sacerdotale, di essere chiamati al matrimonio pur percependo allo stesso tempo la vocazione al sacerdozio ministeriale. I loro doni, che potrebbero andare ad integrare quelli dei sacerdoti celibi, sono persi per la nostra Chiesa in quanto nella Chiesa latina le due vocazioni, quella al sacerdozio e quella al matrimonio, sono solitamente considerate incompatibili. In tal modo non si rende però giustizia ai carismi e alle vocazioni che vengono così espresse, né tanto meno ai bisogni pastorali dei fedeli. In parecchi sceglierebbero la professione del sacerdote se non fosse legata a questa forma di vita.
  • Così come il celibato sacerdotale vanta una lunga, benché discontinua, tradizione all'interno della nostra Chiesa, lo stesso è vero per l'opzione e la realtà dei sacerdoti sposati. In base alla testimonianza biblica (1 Tim 3 e altri), i ministri sposati rappresentano una realtà benefica non solo nelle Chiese ortodosse, ma anche in quelle cattoliche di rito orientale.
  • Nella Chiesa latina, l'ammissione di uomini sposati all'ordinazione sacerdotale costituisce sì un'eccezione, ma non così inconcepibile, soprattutto alla luce del fatto che le esperienze maturate con questi soggetti e relativamente alla loro accettazione da parte dei fedeli sono in molti casi positive. Lo stesso può dirsi per i sacerdoti delle Chiese cattoliche di rito orientale che da tempo vivono in alcune delle nostre comunità. Non si tratterebbe quindi di un passo verso un territorio completamente sconosciuto.
  • Nel celibato obbligatorio si nasconde il rischio molto concreto che questo stato venga tollerato solo come conseguenza della scelta di intraprendere la professione, per cui in questi casi è difficile realizzare l'aspirazione di un carattere testimoniale. Molti sacerdoti che hanno già ricevuto il sacramento dell'Ordine sono sempre più spesso sospettati in generale di non aver scelto il celibato in libera coscienza, mentre i religiosi riferiscono che le reazioni al loro stato di celibato sono molto più positive, proprio per la piena volontarietà di tale scelta. In parole molto semplici, vi è dunque il rischio che i sacerdoti scelgano una professione che comporta un determinato stile di vita che essi devono accettare, mentre i religiosi scelgono in via primaria uno stile di vita che comporta poi eventualmente una professione. Per di più, i religiosi fanno in genere vita di comunità, la quale permette di assorbire alcuni rischi insiti nel celibato.

Molti nell'Assemblea sinodale sono convinti che l'abolizione del celibato obbligatorio come condizione di accesso all'ordinazione sacerdotale renderà più apprezzabile il celibato per il regno dei cieli in quanto "dono particolare di Dio" (can. 277 CIC), valorizzandone maggiormente la sua natura simbolica per il Regno di Dio che verrà. Sarà opportuno ponderare con saggezza in che misura aprire il ministero sacerdotale agli uomini sposati ovvero quali passi intraprendere in tale direzione.

La crisi degli abusi ci ha insegnato come il celibato obbligatorio possa attrarre un numero eccessivo di uomini che non hanno ancora fatto chiarezza sulla propria sessualità, sulla propria identità sessuale e sul proprio orientamento, e che intendono in tal modo evitare di affrontare la questione. Sono caratteristiche che si ritrovano nel tipo umano regressivo-immaturo, vale a dire il terzo gruppo di accusati di violenza sessuale. Allo stesso tempo riteniamo che anche la realtà pastorale che ci si palesa sia un segno della necessità di operare un cambiamento. Constatiamo, infatti, che ci sono persone che desiderano fortemente avvalersi dei ministeri sacerdotali, segnatamente anche di quelli sacramentali. Anche dalla sacramentalità della Chiesa deriva il bisogno di ministeri sacerdotali, anche e soprattutto sacramentali, mentre il numero di quanti possono svolgere tali ministeri e rendere tali servizi è in forte calo, non solo nel nostro Paese ma anche in altre regioni della Chiesa universale.

È questa una tendenza che deve far riflettere. La Chiesa si definisce come la comunità riunita attorno ad un centro rappresentato dall'Eucaristia, ma cosa succede quando una comunità non ha più sufficiente accesso a quest'ultima? L'argomentazione che verte sulla carenza di vocazioni è davvero legittima e opportuna? A nostro avviso la carenza di sacerdoti non è l'unico motivo, e nemmeno quello decisivo, a sostegno della richiesta di abolire il celibato obbligatorio. Riteniamo tuttavia che la situazione di emergenza pastorale che tale carenza determina sia un segno dei tempi da considerare con serietà. L'accesso alla celebrazione eucaristica, come anche l'accesso ai sacramenti dell'Unzione degli infermi e del Perdono, sono, a nostro modo di vedere, prioritari rispetto all'obbligo di mantenere il celibato. Per di più, il minor numero di sacerdoti conseguente all'obbligo del celibato va a detrimento dei molti che sono già in servizio (in forma celibataria) e che si vedono così sempre più gravati di oneri e sempre meno liberi di vivere la propria spiritualità. Questi ultimi due aspetti, l'esperienza delle migliaia di abusi sessuali commessi da sacerdoti celibi e la situazione di emergenza pastorale indicano tutti nella medesima direzione e vanno a corroborare la nostra argomentazione, per cui nel nostro discernimento degli spiriti giungiamo alle conclusioni illustrate di seguito. - La Chiesa ha l'obbligo di controllare che le regole e i precetti da lei emessi siano al servizio della vita degli uomini e dell'evangelizzazione. Così come esiste una gerarchia teologica delle verità, anche nella strutturazione del ministero ecclesiastico della salvezza vi deve essere una costante riponderazione di precedenze e subordinazioni. Se l'obbligo del celibato è di ostacolo alla testimonianza e all'opera pastorale dei sacerdoti tanto quanto alla missione della Chiesa e alla sua credibilità, allora questa regola deve essere abolita. Riteniamo che tutti questi fattori siano segno dei tempi che indicano la necessità di deliberare i seguenti voti:

  • Voto 1 L'Assemblea sinodale prega, dunque, il Santo Padre di riconsiderare, nell'ambito del processo sinodale del Sinodo Mondiale (2021-2024), il legame tra il conferimento dell'Ordine sacro e l'obbligo del celibato. Sebbene in tale ambito non sia possibile trasporre direttamente la prassi concreta adottata nelle Chiese cattoliche di rito orientale, ad esempio per quanto attiene all'importanza del monachesimo, alla realtà della Chiesa latina, uno sguardo alla tradizione delle Chiese orientali dimostra che un'articolazione più varia dello stile di vita sacerdotale è sempre stata, ed è an[1]cora, una possibilità concreta della Chiesa.
  • Voto 2. Fino a una possibile attuazione del voto 1, l'Assemblea sinodale prega il Santo Padre affinché intraprenda il seguente passo concreto: Concedere in misura maggiore le dispense per i casi particolari, come ad esempio per i pastori evangelici sposati che si sono convertiti alla Chiesa cattolica. Il diritto di concedere una dispensa è attualmente riservato alla Sede Apostolica (can. 1047, § 2, n. 3), ma la riserva potrebbe essere annullata per alcune Chiese particolari laddove il vescovo locale lo richieda e a seguito di un processo sinodale apposito interno alla diocesi interessata e consultazioni con la Conferenza Episcopale. In caso di approvazione della Santa Sede, il potere di concedere la di[1]spensa spetterebbe al vescovo locale che può valutare la situazione concreta.
  • Voto 3. Fino a una possibile attuazione del voto 1, l'Assemblea sinodale prega il Santo Padre affinché intraprenda il seguente passo concreto: Rendere possibile l'ordinazione di viri probati, un aspetto di cui si era occupato già il Sinodo di Würzburg. Come primo passo il Sinodo dell'Amazzonia propone di stabilire criteri "per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali [...] abbiano un diaconato permanente fecondo [...]." Sebbene il diaconato sia una vocazione a sé stante, tale proposta esprime l'urgenza di ricercare e percorrere nuove strade.
  • Fino a una possibile attuazione del voto 1, l'Assemblea sinodale prega il Santo Padre affinché intraprenda il seguente passo concreto: Si dovrebbero attuare discipline delle Chiese particolari che consentano di maturare esperienze dapprima in una specifica regione del mondo circa gli effetti che l'apertura produrrebbe sui sacerdoti già ordinati e su quelli che lo saranno in futuro, e non da ultimo sulla comunità dei fedeli e sulla testimonianza della Chiesa. L'Assemblea sinodale esorta la Conferenza Episcopale Tedesca a chiedere alla Santa Sede i passi concreti descritti.
  • Voto 5. Una volta attuato l'esonero generale dalla promessa del celibato, l'Assemblea sinodale prega il Santo Padre di esaminare se sia opportuno aprire anche ai sacerdoti già ordinati la possibilità di svincolarsi dalla promessa del celibato senza dover rinunciare all'esercizio del loro ufficio.

Voti concernenti i sacerdoti che abbandonano l'ufficio a causa di una relazione.

  • In caso di cessazione anticipata del suo rapporto di lavoro, qualunque lavoratore dipendente o funzionario pubblico deve fare i conti con le conseguenze negative che ne derivano, nella misura in cui esse sono legittime, e che non tutte possono, né devono, essere compensate dal precedente datore di lavoro. È una regola che fondamentalmente vale anche per coloro che abbandonano il ministero sacerdotale; volendo però considerare gli aspetti della giustizia e della certezza del diritto legati a un tale abbandono, che non è una mera cesura di tipo professionale, gli svantaggi sono eccessivamente elevati. I motivi che spingono all'abbandono del ministero sono i più svariati, ma una netta maggioranza di soggetti è costretta a lasciare il ministero sacerdotale a causa di una relazione.
  • L'Assemblea sinodale incarica la Conferenza Episcopale Tedesca e il Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi di commissionare un'indagine socio-scientifica sulla situazione dei sacerdoti sospesi e dispensati e di presentarne i risultati in forma pubblica entro e non oltre il 2024. L'obiettivo è ottenere una rilevazione quantitativa e qualitativa in merito alla situazione ecclesiastica, professionale e familiare di questi soggetti, oltre che della loro storia personale di fede. Inoltre si dovrebbe rilevarne la disponibilità a proseguire nell'esercizio di una professione pastorale o addirittura a continuare il ministero sacerdotale.
  • L'Assemblea sinodale esorta la Conferenza Episcopale Tedesca a:

a) coltivare uno scambio intenso con i sacerdoti sospesi e dispensati contrastandone il senso di estraniazione;

b) dare la possibilità ai sacerdoti dispensati di fare domanda di lavoro per tutte le posizioni aperte nell'ambito della Chiesa alle quali possono candidarsi i laici. L'integrazione in un mini[1]stero pastorale dovrà essere possibile come nel rescritto rinnovato.

La questione di quale prospettiva possa esservi nella Chiesa per un sacerdote che ha abbandonato il ministero con dispensa viene posta già ora al relativo vescovo con la nuova versione dei rescritti di dispensa; ciò comprende anche un riconoscimento positivo e l'incoraggiamento al dispensato a impegnarsi contribuendo con i propri talenti e doni. All'uopo l'Assemblea sinodale incarica la Conferenza Episcopale Tedesca e il Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi di costituire un gruppo di lavoro che veda la partecipazione dei sacerdoti sospesi e dispensati e con i seguenti compiti: a) raccogliere esempi di migliori pratiche ai fini di una gestione dei sacerdoti sospesi e dispensati da parte delle diocesi che possa dirsi convincente sotto il profilo umano (inviti periodici a un confronto nel quale possano essere chiarite anche questioni relative all'integrazione, gli organi, lo schematismo...), nonché affidarne l'attuazione alle diocesi. b) elaborare norme giuridiche vincolanti e certe, che si rifacciano ai principi della società civile, analogamente alle procedure seguite nei casi in cui altri operatori e operatrici pastorali lasciano la professione, per l'assunzione dei sacerdoti dispensati nel servizio pastorale.

OCCASIONE MANCATA?

(20-10-2023). Sì, occasione mancata per la comunità cristiana cattolica del mondo intero. Al Sinodo sulla sinodalità non si parla ufficialmente di riforma, una piccola riforma, da potersi attuare nella disciplina del sacramento dell'Ordine: valutare la facoltatività dell'obbligo celibatario.

È poco, lo so. Ma anche questo poco mi avrebbe un po' rasserenato. Non oso più chiedere di ripensare il sacramento dell'Ordine nel suo significato complessivo, né di ripensare la figura del prete e della parrocchia. Mi sarebbe bastato sapere che all'odg del giorno sinodale si sarebbe sentito il parere di tutti i convenuti sul celibato obbligatorio del clero cattolico di rito romano e sulla possibilità di apertura di un eventuale dialogo con famiglie di preti sposati per un possibile coinvolgimento di queste nella pastorale in generale (catechesi, amministrazione dei sacramenti, partecipazione alla vita della comunità parrocchiale e diocesana…). Nulla. Il nulla più assoluto.

Eppure in questi due anni di preparazione al Sinodo i presbiteri sposati non hanno mancato di inviare il proprio contributo sia alla comunità diocesana, che alla segreteria del Sinodo e non avrebbero avuto difficoltà a partecipare al Sinodo stesso anche solo per dare un contributo, come ha fatto Luca Casarini.

Nulla. Altra occasione mancata, non tanto per noi, ma per la comunità ecclesiale intera che mi sembra abbastanza interessata al tema per diversi motivi che, personalmente, non condivido in toto, ma che, per comodità, elenco:

  • progressiva scarsità del clero sia a cagione di mancanza di vocazioni, sia perché il clero in servizio è sempre più anziano e malato;
  • carenza di assistenza spirituale nelle comunità parrocchiali (il clero in servizio è costretto a saltare da una parrocchia all'altra per assicurare almeno la messa domenicale e il minimo sindacale indispensabile per gestire anche amministrativamente la parrocchia);
  • difficoltà a reperire un prete non solo per ragioni amministrative (ad es. celebrare un matrimonio), ma anche per approfondire un percorso spirituale, conoscere la parola di Dio, confrontarsi su temi attuali, trovare uno stimolo per riprendere una vita di fede sopita o in crisi;
  • progressive perplessità che nascono nelle comunità parrocchiali o nei singoli fedeli in merito a scandali che coinvolgono il mondo clericale sia per quanto attiene la piaga della pedofilia che per quanto riguarda la gestione del denaro e la vita "comoda" che il prete conduce;
  • percezione di un clero avulso dalla realtà quando viene coinvolto in problemi che quotidianamente assillano le famiglie: educazione dei figli, difficoltà di coppia, precarietà della casa e del lavoro; rapporti con il mondo sociale in genere;
  • assistenza spirituale delegata sempre più a diaconi permanenti o a persone di buona volontà che si rendono lodevolmente disponibili, ma spesso non si rivelano all'altezza della situazione.

Aggiungo che l'esperienza di preti sposati che hanno trovato un lavoro per potersi mantenere (gente della mia età era lasciata sulla strada. Il giorno dopo aver lasciato il ministero attivo spariva letteralmente dai pensieri del vescovo e dei propri confratelli, ricomparendo per caso solo in forma di pettegolezzo: dove vive? Si è sposato in chiesa? Quanti figli ha? Cosa fa per campare?) potrebbe fare solo bene alla comunità diocesana sia per quanto riguarda l'approccio ad un problema "pratico" (amministrativo, finanziario, edilizio, progettuale…) che per l'assistenza spirituale.

La posizione ondivaga di Papa Francesco mi lasciò perplesso fin da subito: assicurò pubblicamente che "il tema è nella mia agenda", incontrò famiglie di preti sposati l'ultimo giorno del giubileo della misericordia, mantenne i rapporti con la vedova del vescovo argentino Podestà, ma – per contro – rispose ad un vescovo italiano che l'interpellò sul tema durante un'assemblea della Cei: "Che facciano i buoni laici" e, per questo, mi sono ritenuto in esilio, dopo che, con mia moglie, ci siamo spesi per essere vicini a preti in crisi, incontrare vescovi e cardinali, partecipare a dibattiti televisivi e radiofonici ed incontri sia a livello universitario che di chiese locali.

Questo Sinodo avrebbe potuto essere una buona opportunità per discutere sul tema. Discutere, non deliberare. Cominciare a parlarne in modo serio, non partire a stilare documenti. Evidentemente Luca Casarini ha più audience in zona Vaticano.

LA MONDANITA' SPIRITUALE

(13-08-2023). Il 5 agosto scorso, memoria del miracolo della Madonna della Neve e della dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore, il Papa ha inviato al clero della sua diocesi un'esortazione spirituale che ha come sfondo il processo di riforma del vicariato di Roma messo in moto dalla Costituzione apostolica In ecclesiarum communione dello scorso gennaio e da serie di nomine avvenute nei mesi successivi.

La lettera è sicuramente dettata dalla sollecitudine pastorale del Papa per i suoi preti, ma mi sembra piena di ovvietà. Ricorda ai preti che il ministero non si misura «sui successi pastorali» perché Gesù guardava gli apostoli «senza esigere da loro una tabella di marcia dettata dal criterio dell'efficienza». Vero, ma fino ad un certo punto. Il Papa non può ignorare che Gesù inviò 72 discepoli in giro per la Palestina e chiese conto della missione loro affidata, ma non è questa l'ovvietà a cui mi riferisco, bensì l'esigenza della lotta contro la mondanità spirituale. Il Papa ha detto: «Cari fratelli, mi domando: in questo nostro tempo che cosa ci chiede il Signore, dove ci orienta lo Spirito che ci ha unti e inviati come apostoli del Vangelo? Nella preghiera mi ritorna questo: che Dio ci chiede di andare a fondo nella lotta contro la mondanità spirituale». Cosa intende, il Papa, per mondanità spirituale? «Un modo di vivere che riduce la spiritualità ad apparenza: ci porta a essere "mestieranti dello spirito", uomini rivestiti di forme sacrali che in realtà continuano a pensare e agire secondo le mode del mondo». Ciò accade «quando ci lasciamo affascinare dalle seduzioni dell'effimero, dalla mediocrità e dall'abitudinarietà, dalle tentazioni del potere e dell'influenza sociale. E, ancora, da vanagloria e narcisismo, da intransigenze dottrinali ed estetismi liturgici…», ovvero è «cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana e il benessere personale». Puntuale arriva al solito clericalismo di cui accusa anche i laici vicini ai preti.

Ho già scritto altre volte che a me questa storia del clericalismo dà sui nervi. Il capo dei clericali è il Papa che sa benissimo di essere arrivato fin lì proprio perché si è inserito nel mondo clericale per eccellenza che è quello dei gesuiti, unica congregazione il cui superiore generale viene anche definito "il papa nero". Io non so quanto il clericalismo sia pernicioso, ma so quanto sia pernicioso continuare a denunciarlo senza fare nulla per cambiare le cose.

Una delle più alte forme di clericalismo è il celibato forzoso imposto ai preti cattolici di rito occidentale. Fra le ragioni che indussero i predecessori di Papa Francesco ad imporre il celibato al clero vi è anche quella della figura del prete, maschio e celibe, che con la sua vita celibataria, rinunciando ai piaceri della sessualità, era per la comunità cristiana un richiamo ai valori del regno dei cieli dove i figli di Dio non prendono né moglie, né marito perché sono come angeli di Dio. Non so se ci fosse lo zampino di un gesuita nella redazione della norma, ma penso di sì. Solo ad un gesuita poteva venire in mente l'impiego dell'aggettivo "celibe" in luogo dell'aggettivo "vergine". Celibe significa non sposato. Una persona non sposata (celibe o nubile) non è obbligata a non fare sesso. Il vergine e la vergine, invece, fanno voto di non praticare la sessualità, mortificando le tentazioni della carne perché l'anima (cioè, la parte spirituale dell'individuo) non sente la necessità naturale, lo sottolineo, di perpetuare la specie umana.

Il prete celibe è una delle forme più evidenti di clericalismo. Ve ne sono altre che il Papa stesso ha denunciato nel suo discorso ai suoi preti, ma quelle forme denunciate dal Papa non appartengono solo al mondo clericale (chi, nella società, non cerca la gloria umana, il proprio tornaconto, il potere, il servigio, ecc.ecc.ecc.?).

Vuole, il Papa, fare un gesto coraggioso contro il clericalismo che continua a denunciare fino alla nausea? Abolisca il celibato obbligatorio. Consenta ai preti nel ministero di sposarsi, se lo desiderano e, a quelli che non lo desiderano, di rimanere celibi senza addurre motivazioni né spirituali (il celibato è una testimonianza escatologica), né umane (tipo quel prete non s'è sposato perché non ha trovato nessuna che lo volesse, come il Manzoni dice presentando Perpetua). Sarebbe il primo grande passo per dare una spallata al tanto denunciato clericalismo che, per quanto mi riguarda, è solo chiacchiera. Ho appartenuto al clero per quasi otto anni, ma non ho mai approfittato della posizione di privilegio che il Papa denuncia anche perché non mi sono mai accorto di essere un privilegiato. Quando ho lasciato il ministero per sposarmi mi sono accorto del privilegio contrario: difficoltà di trovare un lavoro, difficoltà di incontrare amici preti e vescovo che mi ha ordinato, sguardi sfuggenti, chiacchiere inutili e menzognere sia di preti che di laici.

Il Papa non ha il coraggio di abolire la legge celibataria? Pazienza. "Il coraggio, se non ce l'ha, uno non se lo può dare", disse il vecchio don Abbondio al card. Federigo. Ci sarà un cardinale, un vescovo che abolisce il celibato nella propria diocesi? Mi piacerebbe che ci fosse e vorrei vedere come si comporterebbe il Papa.

I SINODI LOCALI STANNO CREANDO PROBLEMI?

(18-03-2023). Su "Avvenire" trovo che la Chiesa tedesca, nei lavori in corso a Francoforte, ha approvato a larghissima maggioranza il testo che apre alle celebrazioni per la benedizione delle coppie dello stesso sesso (176 voti favorevoli, 14 contrari e 12 astenuti - 38 vescovi hanno votato sì, nove vescovi no e dodici si sono astenuti) e che il Sinodo tedesco si è espresso a larghissima maggioranza anche a favore di una revisione delle norme sul celibato formulando una richiesta a papa Francesco di "riesaminare il nesso tra consacrazione e obbligo del celibato". C'era anche la proposta di chiedere al Papa di revocare direttamente il celibato obbligatorio, ma è stata respinta con una maggioranza di due terzi. L'Assemblea sinodale, però, ha deciso di chiedere al Papa di esaminare se ai sacerdoti già ordinati possa essere data la possibilità di essere sciolti dalla promessa del celibato senza dover rinunciare all'esercizio del ministero e che gli ex sacerdoti siano maggiormente coinvolti nella vita attiva della Chiesa (quasi il 95 per cento dei 205 voti espressi. Dei 60 vescovi presenti, 44 hanno votato a favore, 5 contrari e 11 si sono astenuti).

Il Papa ha risposto indirettamente in una conversazione a tutto campo con il sito argentino Infobae osservando che "…oggi si mette molta lente d'ingrandimento su questo problema. Penso che dobbiamo andare all'essenziale del Vangelo: Gesù chiama tutti"… che abolire il celibato non servirebbe ad aumentare il numero di vocazioni… concludendo che "…il celibato nella Chiesa occidentale è una prescrizione temporanea: non so se si risolve in un modo o nell'altro, ma è provvisoria in questo senso; non è eterno come l'ordinazione sacerdotale, che è per sempre, che tu lo voglia o no".

C'è tempo per vedere come andranno le cose. Per adesso mi limito a riflettere sulle risposte del Papa in tema di celibato.

Che Gesù chiami tutti è un'ovvietà che non risolve il problema. Il popolo di Dio, quello che è rimasto, anche quello che difende a spada tratta il celibato del clero, sa che Gesù chiama tutti e che non tutti sono disposti a rispondere alla chiamata. Del resto, lo stesso Gesù, consapevole della radicalità della proposta di vita che offre, non se l'è presa quando il giovane ricco – saputo che avrebbe dovuto vedere quello che aveva e darlo ai poveri e poi seguire Gesù – se ne andò triste perché aveva molti beni e non si ricredette per nulla quando – dopo aver fatto il discorso sul Pane di Vita – sentendo i discepoli obiettare che il suo discorso era duro e di difficile comprensione, replicò: "Volete andarvene anche voi"?

Il Papa afferma che abolire il celibato non servirebbe ad aumentare le vocazioni. Sono totalmente d'accordo con lui. Pur non essendo papa, né autorevole membro della gerarchia ecclesiastica, ho sempre risposto nella medesima maniera a tutte le interviste fattemi su questo tema. Le vocazioni al sacerdozio ministeriale ed alla vita consacrata sono in paurosissimo calo non certo per l'obbligo del celibato o il voto di verginità. La crisi delle vocazioni nasce contestualmente all'esplosione del benessere sfrenato ed incontrollato che ha progressivamente condotto le persone ad essere perennemente fuori da sé stesse per impedire loro di fermarsi e riflettere. Fermarsi e riflettere significa chiedersi se la propria vita potrebbe avere un senso diverso da quello di essere macchina che produce e consuma, produce per consumare e consuma per produrre in una gabbia che gira vorticosamente dove il criceto umano lavora dal lunedì al venerdì per spendere il sabato e la domenica i soldi che guadagna. Il bello della beffa è che il criceto umano pensa di farlo liberamente, cioè pensa che continuando a correre nella ruotina della gabbietta, liberamente sceglie di correre e liberamente arricchisce il padrone della gabbietta. Un tipo così, come può essere affascinato dall'ideale di vita di uno che parla di povertà, mitezza, misericordia, servizio, aiuto a chi ha bisogno? Del resto anche i preti celibi, posto che rimangano davvero tali per tutta la vita, non rinunciano al consumo, al benessere, alla ricchezza insultando la povertà elogiata dal Maestro; né soavemente danno testimonianza di mitezza quando impongono precetti ed obblighi come conditio sine qua non per guadagnarsi il paradiso. Per scegliere la testimonianza nella vita del messaggio cristiano occorre ripensare il sistema di vita che l'attuale società offre e rifiutarlo. Rifiutare l'attuale sistema di vita significa avere il coraggio di uscire dal gregge per ululare in solitudine.

Il Papa, infine, ricorda la transitorietà della legge celibataria. D'accordo. Mi spiace che non sottolinei la sua anodinità. Siamo tutti d'accordo che la legge del celibato fu imposta molti secoli dopo la morte-risurrezione di Cristo, tutti confermiamo che Cristo non scelse solo celibi fra i suoi discepoli, tutti pensiamo che una legge umana può essere cambiata. Sì, ma quando? Non è per essere pedante, ma mi permetto di ricordare al Papa che otto anni fa, a domanda precisa, rispose che il tema del celibato era nella sua agenda. L'anno scorso, a domanda precisa, rispose che – come il suo predecessore Paolo VI – preferirebbe morire piuttosto che cambiare la legge.

Domanda finale: se la maggioranza dei Sinodi delle chiese del mondo chiedessero di cambiare la legge celibataria, magari abolendola del tutto, magari lasciandola facoltativa… che risponderebbe il papa?

Ma perché nessuno gli pone mai questa domanda?

MARKO RUPNIK, IL FAVORITO

(20-02-2023). Dal sito Stilum Curiae di Marco Tosatti: Città del Vaticano. La presentazione in Vaticano del Messaggio di Quaresima del Papa ha messo a nudo un sistema con le spalle al muro per l'imbarazzante vicenda del gesuita Marko Rupnik, accusato di essere un abusatore seriale di diverse donne, ma poi perdonato inspiegabilmente: chi ordinò di cancellargli la scomunica per il gravissimo reato canonico di assoluzione del complice, un provvedimento eccezionale di competenza della Sede Apostolica ai massimi livelli? Da tempo il giallo resta aperto e nessuno finora ha dato spiegazioni nonostante le domande sconcertate provenienti da tutto il mondo. La questione è stata posta al cardinale gesuita Michael Czerny, prefetto del dicastero dello Sviluppo Umano Integrale, che ha glissato. «Non sono preparato. Mi hanno invitato per la presentazione del messaggio del Papa per la Quaresima, uno non parla così». A fine gennaio, il Pontefice, in una intervista alla Ap, aveva osservato: «Per me è stata una sorpresa davvero. Una persona, un artista di questo livello, per me è stata una grande sorpresa e una ferita». Intanto il rapporto tanto atteso su come si sono svolte le vicende legate a questo colpo di spugna (che investono in pieno il mondo dei gesuiti, a cominciare dalle vittime che frequentavano gli ambienti spirituali legati alla Compagnia di Gesù) è slittato ancora, probabilmente verrà reso noto solo a fine mese. Chi ha fatto le indagini è stato un gesuita, così come è gesuita il prefetto del dicastero della Dottrina della fede, il cardinale Ladaria che ha tolto la scomunica a Rupnik, in una sequela opaca che allunga ombre persino sul Papa, anch'egli appartenente all'ordine fondato da Sant'Ignazio. Per la prima volta padre Daniele Libanori, il vescovo gesuita che si per primo si è battuto per fare emergere la verità e affrontare questa vicenda in totale trasparenza e garanzia per le vittime, ha finalmente rotto il silenzio con una intervista al giornale francese La Croix. «Di questo caso ne sono venuto a conoscenza all'inizio del 2021, grazie al mio ruolo di commissario straordinario della Comunità di Loyola. La visita era stata decisa a causa di vari disturbi riscontrati in alcune sorelle. Il 30 ottobre 2020 sono stato nominato dall'arcivescovo di Lubiana, Slovenia, monsignor Stanislav Zore, per assumere il governo di questo istituto di diritto diocesano». LIbabori ha raccontato a Loup Besmond che durante il suo incontro «con queste 45 suore, nei colloqui individuali, cominciarono a emergere testimonianze sulle azioni di padre Rupnik prima del 1993, prima in accenni velati, poi in racconti espliciti. Questo era il vero motivo della loro divisione: alcune avevano lasciato l'istituto, altre soffrivano ancora, non avendo mai potuto contare su un aiuto professionale per superare il trauma (...) Chiesi quindi alle persone che mi avevano raccontato le loro storie se fossero state disposte a fornire una testimonianza scritta. Diverse suore, così come donne che avevano lasciato l'istituto, accettarono e io potei consegnarle alla commissione d'inchiesta che era stata istituita e affidata al Procuratore generale dei Domenicani».

Si può ben affermare che Marko Rupnick è stato ed è tuttora celibe per legge. Del resto è un gesuita e gesuiticamente può far osservare che celibe significa che una persona non è sposata, non che gli sia fatto divieto di esercitare la propria sessualità. Sembra strano che un simile soggetto sia rimasto impunito fino a pochi anni fa e che gli sia stata revocata la dimissione dallo stato clericale comminatagli dalla Congregazione della Dottrina della Fede.

Oppure non è strano. Non è strano, anche nella chiesa con la "c" minuscola, che aderenze in alto loco generino favoritismi vergognosi ed inconfessabili e che si vada a due velocità: se hai un protettore, ti puoi permettere di fare quel che vuoi; se non l'hai e ti denunciano, paghi senza se e senza ma.

Squallido? Sì, ma storie di ordinario squallore sono all'ordine del giorno nella chiesa che predica il Verbo del Maestro che diceva: "...è inevitabile che vi siano scandali, ma guai a quell'uomo che è causa dello scandalo" e si contenta, rassegnata, di fermarsi alla prima parte dell'affermazione di Cristo. La seconda la gestisce come conviene più opportunamente.

CELIBI PER LEGGE, MA PRETI PER VOCAZIONE

(27-12-2022). Non mi piace mettere in piazza storie personali, ma questa volta lo faccio, pur mantenendomi sul generico.

L'antivigilia di Natale ho ricevuto una telefonata particolarmente intensa da parte di una persona che ho avuto occasione di conoscere per ragioni di lavoro. La persona, di cui non possedevo più il numero di cellulare, mi ha telefonato lasciandomi un messaggio d'augurio con la discrezione che la contraddistingue. Mi sono sentito in dovere di richiamarla e, fatti quattro conti per approssimazione, erano almeno sette anni che non ci siamo più sentiti. Nel mio lavoro succede: si incontrano persone con le quali si instaura un rapporto dapprima professionale che a volte diventa umano rendendo piacevole il lavoro stesso, ma non avendo altre occasioni (la persona di cui parlo vive fuori dalla Lombardia, abituale mio territorio d'azione lavorativa) ci si trascura reciprocamente. È sbagliato? Sì, è sbagliato, ma la frenesia contemporanea soffoca anche chi, come il sottoscritto, vorrebbe che i rapporti umani fossero sempre veramente tali.

Ripercorrere in poco tempo sette anni di mancata comunicazione è stato piacevole, non tanto per ricordi, aneddoti, episodi di quel momento, quanto per la facilità con cui siamo rientrati in rapporto: alla fine abbiamo convenuto che è stato come se ci fossimo visti l'altro ieri.

Che c'entra tutto questo con il titolo? C'entra perché la persona mi ha telefonato per una ragione precisa. Memore delle opinioni scambiateci sul senso della vita, sulla religione, sulla figura di Cristo durante gli incontri di lavoro intendeva ricevere da me l'assoluzione sacramentale dopo circa 28 anni che non aveva più messo piede in chiesa.

Ho pensato ad una burla, ma quando ho capito che faceva seriamente ho chiesto perché proprio io avrei dovuto ascoltare la sua confessione ed assolvere da peccati usando il telefono. Ho precisato che stavano concorrendo almeno due illiceità: 1. i preti dimessi dallo status clericalis non sono autorizzati ad assolvere se non in caso di pericolo di morte (in questo caso il diritto canonico prevede l'assoluzione in quanto "salus animarum, suprema lex"); 2. sempre il diritto canonico prevede la confessione e l'assoluzione a mezzo telefonico solo in casi gravi che solo il vescovo diocesano (o il penitenziere diocesano, su delega vescovile) può concedere. Illiceità non significa invalidità - ho spiegato alla persona interessata - ma non mi piace venir meno ad un comportamento che ho sempre mantenuto, nonostante fossi stato più volte sollecitato in tal senso, in quanto continuo a cercare un dialogo con questi sordi (e mi pare anche un po' menefreghisti) Pastori perché le cose cambino.

Non mi piace aggiungere confusione alla confusione. Per scoraggiare definitivamente la persona ho ricordato che il sacramento della confessione è stato istituito nel corso dei secoli e che Lutero lo contestò esortando i suoi seguaci con la massima: pecca fortiter sed crede fortius (pecca fortemente, ma credi ancor di più e Dio ti perdona).

La persona mi ha ascoltato con molto rispetto e ha replicato alle mie riflessioni dandomi un motivo molto serio: non ha mai dimenticato quanto ci dicevamo a margine dei nostri incontri di lavoro, mi ha cercato in Internet, ha trovato i miei blog e mi segue. Non ha paura di morire e finire all'inferno, ma desidera tornare a vivere nella vita il Vangelo che le fu solo inculcato e pensa che io sia il mezzo che Dio ha scelto. Mi sono sentito con le spalle al muro. Ho ascoltato la sua confessione, insieme abbiamo pregato scegliendo tre mancanze sulle quali impegnarci a pregare l'uno per l'altro affinchè la Grazia di Dio l'aiutasse ad emendarsi e ho concluso assicurando che mi sarei recato in chiesa subito, a pregare perché Dio gli fosse vicino e lo rendesse sereno con la grazia del suo perdono. Ho concluso: "La comunità di tutta la Chiesa la perdona, prega e soffre per lei. Lei preghi e soffra per tutti noi perché ognuno di noi ha bisogno del perdono di Dio. L'assolvo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo".

Ci siamo augurati buon Natale e subito dopo mi è giunto un suo sms che parafrasa il titolo di questa rubrica: lei non sarà celibe per legge, ma è prete per vocazione. Grazie.

È stata una bella esperienza.

AUGURI, CHIESA DI DIO.

(22-12-2022). Buon Natale, Chiesa di Dio. Buon Natale con l'augurio di riflettere sul messaggio che la tradizione attribuisce al canto degli angeli: pace in terra agli uomini di buona volontà. Sinceramente non capisco perché gli uomini di buona volontà siano stati convertiti in uomini amati dal Signore, ma transeat: ci sono tante cose che non capisco che una più, una meno non fa molta differenza.

C'è bisogno di pace in questa nostra Chiesa perennemente in guerra con sé stessa al punto che non è più Chiesa, ma solo chiesa fino a ridursi a chiesuola, piccolo clan di potere e di privilegi. Augurare la pace in senso lato è dispersivo. Il mio augurio di pace, pertanto, si circoscrive ad un piccolo percorso: auguri perché gli uomini di buona volontà, amati dal Signore che guidano questa nostra comunità che crede nel Cristo, volto di Dio rivelato all'umanità, si liberino dall'ipocrita tabù del sesso che continua a rovinare i rapporti umani all'interno della comunità che guarda a Gesù che chiamò beati i poveri, i miti, i perseguitati, i pacificatori, gli umili e si dimenticò (?) di proclamare beati i celibi, i vergini e tutta la congrega dei prevenuti verso il sesso e la sessualità.

L'ultimo caso del gesuita artista, pittore, mosaicista, direttore di una scuola d'arte sacra, insegnante in facoltà teologiche, scrittore, conferenziere e direttore di corsi per esercizi spirituali che stuprava le suore rassicurandole teologicamente fino ad assolverle nel nome di Dio "in peccatu turpi" è solo l'ultimo, clamoroso episodio di un'ipocrisia che avrebbe dovuto essere debellata da secoli e che, invece, continua ad essere tollerata fino al punto che neppure il Papa ha la spina dorsale di chiamare le cose con il loro nome, guardare in faccia alla realtà spaventosa che si cela dietro il perbenismo celibatario e verginale ed agire di conseguenza. Persino il Papa si nasconde dietro il dito della tradizione e ripete quello che dissero i suoi predecessori: "Preferisco morire piuttosto che rivedere la legge celibataria".

Auguri, cara Chiesa di Dio, perché celebrando il ricordo della nascita del nostro Salvatore abbiamo il coraggio di "lasciare che i morti seppelliscano i morti", come lo stesso Gesù ci ha suggerito. Lasciamo che l'ipocrisia continui ad essere alimentata da Pastori che puniscono chi non è raccomandato o non ha amicizie in alto loco e proteggono gli amici silenziando le accuse derubricandole come errore umano verso cui Dio ci insegna ad essere misericordiosi come Egli lo è con noi.

CHIESA A DUE VELOCITA'.

(05-12-22). Singolare questa lettera.

Beatissimo Padre Papa Francesco, Mi chiamo (omissis, ndr), appartengo alla Comunità Loyola, una comunità religiosa femminile di diritto diocesano nata in Slovenia. Attualmente la comunità è commissariata, affidata su richiesta della Congregazione per la Vita Religiosa al Vescovo Daniele Libanori. Il motivo del commissariamento è dovuto alla situazione di grave sofferenza in cui si trovano varie sorelle, rilevata dal Vescovo di Lubiana (Slovenia) sotto la cui giurisdizione essa si incontra. Il principale problema che è stato rilevato dalla visita canonica realizzata nel 2019 riguarda l'abuso di potere e lo stato di dipendenza e sottomissione rispetto alla fondatrice, nonché superiora generale Ivanka Hosta, in cui gran parte delle sorelle si incontrava. Il commissariamento, iniziato in dicembre scorso (2020, ndr), ha cercato di introdurre modifiche necessarie alla vita della comunità, e soprattutto un processo di revisione profonda del carisma e delle costituzioni. Processo tuttavia, al quale si oppone un considerevole numero di sorelle che, fino al presente, considerano infondate le denunce, persecutoria nei confronti della fondatrice l'azione intrapresa dall'Arcivescovo di Lubiana prima, e dalla Congregazione e dal Vescovo Libanori attualmente. In questa spaccatura e in questo rifiuto di ascoltare sia la sofferenza di molte sorelle, sia la voce della Chiesa attraverso i Pastori che invitano ad una profonda rifondazione, personalmente ho ritenuto necessario prendere le distanze, e ho chiesto l'esclaustrazione (omissis, ndr). La ragione di questo mio appello a lei Santo Padre, non è tanto relativa alla mia situazione o alle conseguenze che io possa risentire dall'aver vissuto trent'anni (omissis, ndr) in un contesto di costante tensione, di confronto fra le sorelle, di progressiva spersonalizzazione fino a non riconoscere alcun senso nella vita nella comunità, in nessun modo "religiosa" se non nella formalità estrema degli atti e dei ritmi, ma senza un vero fondamento comunitario, né un libero e amoroso sguardo sulla realtà della chiesa locale in cui eravamo inserite, né sulla vita le una delle altre. La comunità nei suoi inizi è stata anche segnata da abusi di coscienza ma anche affettivi e presumibilmente sessuali da parte di pe. Marko Rupnik. Egli come amico della fondatrice e di varie sorelle degli inizi, aveva una vicinanza e una presenza costante nella vita personale di tutte le sorelle e della comunità nel suo insieme. Quando attraverso la sofferenza estrema di alcune sorelle, nel 1993 si è giunti a una separazione definitiva da pe. Rupnik, non sono mai state totalmente chiarite le sue responsabilità; anzi sono state praticamente coperte e non denunciate sia dalle dirette interessate, ma anche da sr Ivanka, che ne era a conoscenza.

Tuttavia, non è solo per denunciare tutto ciò che scrivo, ma per un senso di responsabilità nei confronti di altre giovani che possano essere irretite, per fragilità o per sincero desiderio di una scelta di vita radicale. Negli ultimi anni, infatti, le scarse vocazioni nella Comunità Loyola sono venute soprattutto dal Brasile e dall'Africa. Sono ragazze fragili per cultura e per storie personali molto complesse e dolorose, che più facilmente possono essere irretite in relazioni di dipendenza e di sottomissione assoluta, secondo un modo poco sano (sia dal punto di vista religioso che antropologico) di concepire il valore e la prassi del voto di obbedienza e il proprio carisma comunitario, inteso come "disponibilità ai Pastori". ... L'appello che quindi le rivolgo, ... è che si adoperino tutti i mezzi perché sia data voce, dignità, e restituita la libertà di coscienza a queste e a tutte le altre, molte vittime di questi nuovi movimenti religiosi e nuove comunità.

3 agosto 2021 - Lettera firmata

Inutile aggiungere che a questa lettera non è ancora stata data risposta.

Trovo il tutto sul sito Accusato di violenza da diverse suore, il gesuita padre Rupnik da anni è "coperto" dal Vaticano? | Left.

Left non è il solo sito che sta dando particolare enfasi a questa situazione, ma preferisco citare questo sito perché altri possono essere tacciati di "antibergoglianesimo" e sono abbastanza stanco di dovermi continuamente misurare fra i tifosi di Bergoglio, quelli di Ratzinger, quelli dell'ultimo cardinale o vescovo o prete sulla bocca di tutti perché considerato "di strada" e via elencando.

Cerco di capire il Papa e di rispettarlo, di giustificarlo quando dice, disdice, contraddice, ma faccio sempre molta fatica, anche perché penso che egli si gestisca come può (e può proprio poco in quanto non brilla per intelligenti intuizioni a lunga gettata) ed appare ogni giorno che passa un vecchio vescovo stanco che cerca in qualche modo di essere originale per far parlare di sé. Ma la sua è l'originalità del convitato sconosciuto che cerca ogni mezzo banale per riuscire simpatico agli ospiti.

In ogni caso, siamo alla chiesa (non la Chiesa) a due velocità. C'è la chiesa di Zanchetta, Rupnik, Inzoli e chissà quanti altri e quella di chi non ha nessun santo in paradiso e si fa un po' di anni di galera nel carcere di Opera (tipo don Stefanoni, ex parroco di Laglio in diocesi di Como), chi sgancia un bel po' di soldi alle vittime (tipo don Mangiacasale ex economo della diocesi di Como) e chissà quanti altri. C'è la chiesa di quelli che contano e di persone che contano amici fra le persone che contano e la chiesa di chi non riesce neppure a parlare con il parroco del paese per una banale faccenda. Funziona così. È sempre stato così? Penso di sì. Ergo? Ergo continuo a lasciare che i morti seppelliscano i morti.

MEGLIO MORTO O DIMESSO. (preti non più celibi dimessi, ma non morti

(04-11-2022). il papa ha trasmesso a mons Leonardo Sapienza, reggente della Casa Pontificia, un incartamento fino ad oggi tenuto segreto che riguarda il dialogo che il card. Alfrink - vescovo di Utrecht e primate della Chiesa d'Olanda - ebbe con Paolo VI sul tema del celibato obbligatorio del clero. 

Il colloquio ebbe luogo il 10 luglio 1970. Sembra che Alfrink sia venuto apposta dall'Olanda a Roma per discutere con il papa di questo tema e che il colloquio - avvenuto probabilmente in lingua francese - sia stato messo a verbale il giorno dopo e secretato dal Segretario di Stato card. Villot che vi ha aggiunto a margine annotazioni personali.

Da quanto scrive Adnkronos traggo alcune riflessioni che evidenzio in corsivo o in grassetto nel testo integrale che riporto in fondo. Il tema è: ordinare uomini sposati e riammettere nel ministero sacerdoti sposati, ma su quest'ultimo punto Alfrink non insiste.

Chiaro? Ad Alfrink non interessa parlare con il papa di riammissione di preti sposati, ma solo di ordinare preti uomini sposati. Perché? Perché non va dimenticato che Alfrink - da vescovo di Utrecht - mise la sua firma al primo catechismo olandese (siamo nel 1956, il papa era Pio XII) che prevedeva l'ordinazione al presbiterato di uomini sposati, ma non fa minimamente cenno alla riammissione di preti che avevano lasciato il ministero per contrarre matrimonio. Per chi non ha i capelli bianchi ricordo che il Catechismo Olandese ebbe immenso successo dieci anni dopo la sua prima pubblicazione. Fu subito tradotto in molte lingue, ma fu stroncato da Roma per alcune "eresie" (verginità di Maria, dogma della transustanziazione...) e nel 1969 uscì l'edizione approvata con un "Supplemento al Nuovo catechismo".

Torno al nocciolo della questione: ad Alfrink non interessa che si riammettano preti sposati. Si preoccupa, però, della carenza di clero e propone al papa che si ordinino uomini sposati, perché - dice - lasciare la chiesa senza preti sarebbe un "malheur". Ma il papa è lapidario: impossibile. È un NO chiaro sia ad ordinare uomini sposati che a riammettere preti sposati al ministero e riferisce al cardinale che persino nelle missioni si oppongono a questo. Interessante questo riferimento al parere giunto dal mondo missionario: significa che Paolo VI stava studiando il problema e chiedeva riservatamente opinioni in merito. Non ci è dato sapere quali siano le voci autorevoli alle quali Paolo VI si riferisca, ma credo di non azzardare troppo se dico che la richiesta di parere sia avvenuta secondo il solito schema autoreferenziale. Va detto, però, che il papa - non avendo il coraggio di affrontare di petto il problema del celibato, ma rendendosi conto della necessità dell'annuncio della Parola - qualche anno dopo cercherà di provvedervi prevedendo l'istituzione del diaconato permanente (lettera apostolica "Ad Pascendum").

Alfrink sembra non darsi per vinto ed insiste facendo presente che i vescovi olandesi conoscono uomini che posseggono ottime qualità per essere ordinati preti, ma il papa osserva che sarebbero deflagrati fra il servizio presbiterale e la famiglia e che quindi è meglio che facciano dell'apostolato laico concludendo: "Preferirei essere morto o dare le dimissioni".

Sono passati 50 anni e il successore di Paolo VI ha sposato i due concetti: essere buoni laici e meglio morire che derogare alla legge del celibato. Francesco, interrogato da un vescovo italiano sui preti sposati, ha risposto: "Che facciano i buoni laici"; interrogato da un giornalista sul medesimo argomento ha risposto: "Come ha detto Paolo VI: preferisco morire piuttosto che rendere facoltativo il celibato del clero".Poco male? Sì, poco male. Spiace che chi si sente investito della suprema autorità pastorale sia così poco sensibile alla progressiva carenza di ministri e ministre che annuncino la Parola e spezzino il Pane della Vita, ma non possiamo farci nulla, se non lasciare che i morti seppelliscano i morti facendo loro sapere che rimaniamo disponibili, qualora volessero farci un fischio.

Siamo credenti nel Vangelo di Cristo, dimessi per legge umana dall'ufficio pastorale, ma non morti alla meditazione della Parola e pensiamo che il ministero presbiterale (che è servizio e non autorità) si possa svolgere rimanendo cattolici perché siamo nati in questa comunità e non abbiamo intenzione di rinunciarvi solo per il motivo che, chi comanda in questo momento, la pensa diversamente da noi su questioni disciplinari come questa, neppure avendo la sensibilità di ascoltarci o dare una risposta a domande che poniamo con sincerità e con regolare continuità a vari livelli.

Molti di noi si sono tuffati fuori dalla barca di Pietro (la metafora non è mia, ma di Hans Kung in "Essere cristiani"), ma noi preferiamo restarvi perché convinti che prima o poi il nostromo ci coinvolgerà nella riformulazione della rotta. 

Torno all'inizio, per concludere. Il papa ha dato il documento che sotto si può leggere per intero ad un suo stretto collaboratore, una persona con cui ogni giorno ha rapporto perché è responsabile di udienze e incontri, smista richieste e petizioni, decide con pochissimi altri chi può avere accesso al pontefice. Perchè un documento, rimasto sino ad ora riservato, è stato reso pubblico? Può darsi che mons. Sapienza avesse detto al papa che stava scrivendo un libro in cui si sarebbe trattato anche l'argomento del celibato e il papa abbia voluto gratificare il suo collaboratore offrendogli materiale per un piccolo scoop. Può darsi che dai sacri palazzi si voglia far sapere, in via ufficiosamente ufficiale, che adesso basta continuare a rompere con 'sto celibato del clero. Può darsi che in Vaticano - soprattutto dopo la Querida Amazonia - le richieste e le pressioni perché si affronti lo spinoso argomento si siano moltiplicate e si facciano pressanti. Il fatto è che il documento pubblicato non è stato sottratto con il dolo come è successo per altri documenti, ma viene direttamente dalle mani del papa ed è reso noto in un libro il cui autore è il facente funzione di Prefetto della Casa Pontificia. Dante direbbe: "...questo sia suggel ch'ogni uomo sganni". Cioè: intelligenti pauca. Vale a dire: altolà, basta!

Ecco il documento. Il Santo Padre afferma di avere pensato molto al colloquio di ieri; dopo la accurata diagnosi fatta, la situazione olandese appare grave; bisogna tenerne conto con comprensione e carità; non si può esigere una prassi perfetta quando c'è questo turbamento; non vogliamo essere uniformi o giuridisti nell'applicazione, comprendiamo la necessità di essere attenti. Il cardinale ha fatto il quadro. Il Papa non ha voluto aggiungere nulla; avrebbe potuto farlo. Il viaggio ha avuto come scopo la questione del celibato. Alfrink si riferisce alle dichiarazioni dei Vescovi ed in particolare ai due seguenti punti: uomini sposati e riammissione nel ministero di sacerdoti sposati. Su questo punto Alfrink non insiste.Il Papa aggiunge: impossibile. Il cardinale dice che vi è una categoria di preti che si illude ed ammette che si tratti di una illusione. Il Papa aggiunge: bisogna essere espliciti. Il cardinale afferma di non avere avuto una risposta alla sua relazione circa il caso Grossouw; il cardinale Seper non avrebbe scritto; il cardinale Alfrink farà ciò che gli sarà detto: chiamerà Grossouw. Il Papa pensa che bisogna tenere fermo.

Cardinale Alfrink: ma la ragione impressionante è che non ci sono più candidati al sacerdozio; egli insiste per il sacerdozio agli sposati. Il Santo Padre a questo punto dice che sarebbe una cosa che si diffonderebbe subito: non si deve fare. Il Papa ha la visione, la responsabilità; crederebbe di tradire la Chiesa. Al che Alfrinck reagisce: lasciare la Chiesa senza preti è un grande 'malheur'; è una situazione che si manifesta in Olanda, ma anche altrove. Questa maniera di aiutare la Chiesa può essere un bene.

Santo Padre: il problema è complesso. Nelle missioni, le voci più autorevoli sono contrarie. C'è qualche rimedio nell'ammissione del diaconato citato. Certo manca il ministero sacerdotale. La situazione può essere studiata collegialmente. Occorre riservare un tema di questo genere ad un Sinodo. Ma questo esige due anni almeno. Alfrink ribatte: certo è lungo, ma la Chiesa è eterna. Noi siamo i primi in Europa a conoscere questa scarsezza, che già esiste nell'America Latina. È la preoccupazione dell'episcopato olandese. 

Santo Padre: sarebbe da approfondire l'analisi del problema; i Vescovi non avendo clero vogliono essere uxorati. Ma introduciamo un cambiamento di concetto, una decadenza da cui non si guarisce più. Alfrink: stabilire dei criteri. Santo Padre: non convinto. Alfrink: questi uomini esistono; noi li conosciamo e ne riconosciamo le qualità. Santo Padre: che facciano dell'apostolato laico. Alfrink: ne abbiamo bisogno. Bisogna studiare il problema.Papa: non vorrei dare una speranza fallace e richiama la Lettera del 2 febbraio c.a. Alfrink: ma la Lettera ne parla.Santo Padre: io non penso che ciò si applichi per l'Olanda. Una grande riflessione si richiede per situazioni ecumeniche.Alfrink: alcune parti della Chiesa universale possono trovarsi in situazioni analoghe. Santo Padre: non avrei la coscienza tranquilla. Questo sarebbe uno sconvolgimento della Chiesa Latina. Alfrink: io non sono così pessimista. Santo Padre: mois non plus. La jeunesse viendra. Vous avez un siècle si fecond de vocation. Amour au Christ. Alfrink: non perdere questo.Santo Padre: non si può avere un doppio clero. Alfrink: pensate che non vi sarebbe più clero celibatario? Santo Padre: no. Noi avremmo dei preti assorbiti da altri compiti: famiglia, lavoro. Alfrink: ciò è vero; una delle ragioni del celibato è in effetti questa: la disponibilità; espone le prospettive di un clero sposato; una parte libera completamente, l'altra avente una professione (full time- part time). Santo Padre: dedizione del prete alla sua famiglia, non si farà più il reclutamento del clero celibatario. Alfrink: studiare più a fondo. Santo Padre: la Commissione teologica studierà le questioni che saranno oggetto del Sinodo del 1971 ma queste non sono state ancora fissate. Questo sarà senza dubbio uno dei punti ma per dovere di sincerità non voglio darvi la speranza che si arrivi (al clero sposato). Non voglio decidere da solo, perché la mia opinione sarebbe negativa; chiederò il parere degli altri confratelli nell'episcopato. Ciò avverrebbe per dei casi estremi, non sarebbe la regola, ne' la norma. Sarebbe la rovina.

Alfrink: mantenere il celibato e accanto cercare delle vocazioni di uomini maturi sposati.Santo Padre: pensa V.E. che una simile legge della Chiesa resisterà? O si dirà 'si può essere sposato e buon prete?' Preferirei essere morto o dare le dimissioni!. "E' da notare - scrive padre Sapienza - la sfumatura delle parole e dei sentimenti di Paolo VI durante il colloquio: bisogna essere espliciti; bisogna tenere fermo; crederebbe di tradire la Chiesa; introduciamo una decadenza da cui non si guarisce più; non sono convinto; non avrei la coscienza tranquilla. Fino ad arrivare alla conclusione 'esplosiva' che il cardinale Villot segnala a lato di non trasmettere: "preferirei essere morto o dare le dimissioni". Papa Francesco, nel trasmettere l'inedito incartamento a padre Leonardo Sapienza, scrive significativamente: " Questo assomiglia a 'dare la vita'. Io penso lo stesso di San Paolo VI".

ABUSI E LEGGE DEL CELIBATO. 


(07-09-2022). Dal sito "retelabuso.org" (che consiglio ai miei lettori di visitare periodicamente o anche di iscriversi alla newsletter) riporto: "

Città del Vaticano, 5 set. (askanews) - "Un prete non può continuare a essere prete se è un molestatore. Non può. Perché sia malato o un criminale, non lo so. Il sacerdote esiste per dirigere gli uomini a Dio e non per distruggere gli uomini in nome di Dio. Tolleranza zero. E deve continuare ad essere così".

Lo ha detto, in un'intervista esclusiva a TVI/CNN Portugal, Papa Francesco.

Il Pontefice ha, però, negato che questi reati e comportamenti distorti dipendano dall'obbligo del celibato tra i chierici. "Non è il celibato. L'abuso è una cosa distruttiva, umanamente diabolica. Nelle famiglie non c'è il celibato e si verifica anche. - ha infatti detto - Quindi è semplicemente la mostruosità di un uomo o di una donna nella chiesa che è psicologicamente malato o malevolo e usa la sua posizione per la propria soddisfazione personale. È diabolico".

Il Papa ha poi notato che viviamo nella "cultura dell'abuso che è molto diffusa", facendo l'esempio dei film pornografici.

"Quello che non si sa, perché ancora nascosto, sono gli abusi all'interno della famiglia. - ha aggiunto -Non ricordo la percentuale, ma penso sia il 42% o il 46% degli abusi che avvengono in famiglia o nel quartiere. E questo si nasconde", precisando subito, però, che per quanto riguarda i casi nella Chiesa: "anche se fossero l'1%, è una mostruosità".

Mi trovo in assoluto accordo con quanto il Papa afferma. Com'è noto sono assoluto sostenitore della revisione della legge celibataria sia per quanto riguarda la sua facoltatività che il conferimento del ministero del servizio nella Chiesa riservato esclusivamente ad individui di sesso maschile, ma questo è un discorso diverso e più ampio. Concordo con il Papa perché penso che la pedofilia clericale non possa essere attribuita sic et simpliciter al fatto che un prete, in quanto obbligato al celibato, sfoghi la sua sessualità su giovani inermi ed indifesi che obbliga al silenzio "metu reverentialis".

Le devianze sessuali di questo tipo sono indizio di gente malata di sesso e simili soggetti sono rinvenibili non solo fra il clero ossessionato dal sesso perché obbligato al celibato.

È necessario precisare che gli abusi sessuali di cui si sono macchiati e si macchiano preti e suore non debbono trovare la loro unica, profonda motivazione nell'obbligo del celibato o nel voto di castità ed addurre tali devianze come prova a favore dell'abolizione del celibato a favore del sacerdozio uxorato.

Solo su una cosa mi lascia perplesso nell'intervista rilasciata dal Papa alla tv portoghese: la sua certezza che nella chiesa vi è tolleranza zero verso la pedofilia. È sufficiente tenersi aggiornati presso il sito della Rete l'abuso per dedurre che non è così. Del resto il Papa stesso è in imbarazzo per come ha gestito la situazione di mons. Zanchetta che - stando alle cronache - è suo amico personale, promosso da lui all'episcopato e messo un po' al riparo quando le voci sul comportamento sessuale del prelato da sussurri sono diventate grida e denunce. Da poco il Papa ha chiamato altri 20 vescovi a collaborare più strettamente con lui creandoli cardinali. Avrebbero dovuto essere 21, ma uno di questi ha rifiutato la porpora cardinalizia motivando il fatto che non si è sempre comportato correttamente nella sua diocesi quando ha dovuto gestire casi di abuso. Fra i cardinali eletti vi è anche il vescovo della mia diocesi che - sempre stando alle cronache - quando era vescovo di Crema sembra non abbia gestito correttamente il caso don Inzoli, prete noto per il suo impegno nel Banco Alimentare, ma anche noto come don Mercedes. 

CINQUANT'ANNI DOPO. 


(24-08-2022). Quest'anno fanno cinquant'anni da quando Paolo VI, con la Lettera Apostolica "Ministeria Quaedam", aboliva gli ordini minori riservati esclusivamente ai candidati al sacerdozio (tonsura, esorcistato, ostiariato, lettorato, accolitato) per istituire i due ministeri del lettorato e dell'accolitato, precisando che questi ministeri non erano più un'esclusiva dei candidati al sacerdozio ministeriale, ma erano rivolti a tutto il popolo di Dio. Contestualmente alla "Ministeria quaedam" uscì anche la lettera apostolica "Ad pascendum" che istituiva il diaconato permanente al quale potevano accedere anche maschi sposati.

Il papa, in occasione dell'anniversario della "Ministeria Quaedam", ha rivolto a tutto il popolo di Dio, e in particolare alle Conferenze Episcopali, il seguente invito: "Per poter ascoltare la voce dello Spirito e non arrestare il processo - facendo attenzione a non volerlo forzare imponendo scelte che sono frutto di visioni ideologiche - ritengo che sia utile la condivisione, tanto più nel clima del cammino sinodale, delle esperienze di questi anni. Esse possono offrire indicazioni preziose per arrivare ad una visione armonica della questione dei ministeri battesimali e proseguire così nel nostro cammino. Per questo motivo desidero nei prossimi mesi, nelle modalità che verranno definite, avviare un dialogo sul tema con le Conferenze Episcopali per poter condividere la ricchezza delle esperienze ministeriali che in questi cinquant'anni la Chiesa ha vissuto sia come ministeri istituiti (lettori, accoliti e, solo recentemente, catechisti) sia come ministeri straordinari e di fatto".

Evidenzio "ministeri straordinari e di fatto" perché mi auguro che le Conferenze Episcopali del mondo portassero ufficialmente (ufficiosamente le cose sono già note) a conoscenza del papa qualche ministero straordinario e di fatto che da diversi anni viene esercitato nella chiesa per servire il popolo di Dio e non sarebbe male che tali ministeri fossero istituzionalizzati. Personalmente mi interessa poco che lo siano, ma penso che se i ministeri che fra poco descrivo dovessero avere un timbro istituzionale (anche la chiesa ha bisogno di gente che timbri e che si tranquillizzi dopo aver visto un timbro) un altro passo verso una riforma ecclesiale può essere compiuto. Mi accontento di poco, lo so, ma fatico a trovare un Pastore che sia anche Profeta e per questo mi attacco ad ogni piccolo barlume di profezia.

Superfluo precisare che quanto descrivo è documentato da colloqui personali e confidenze ricevute, ma qualche volta le precisazioni servono: mi seccherebbe essere annoverato fra i chiacchieroni che s'inventano qualcosa, tanto per parlare.

In una diocesi dell'America del Nord esiste un ministero di fatto che potrebbe essere assimilato a quello dell'accolitato, ma non è così. Lo chiamerei "ministero della sofferenza". Nacque non so quanti anni fa (forse 15, forse 20) per iniziativa di un presbitero sposato che, conosciuti altri "colleghi", attese le difficoltà del parroco della parrocchia in cui viveva a visitare gli infermi ed a seguire una famiglia colpita dal lutto di una morte, propose il servizio ministeriale di visita periodica agli ammalati (compresa anche la somministrazione dell'Eucaristia) e di assistenza a famiglie colpite dal lutto. Tale servizio ministeriale consisteva nel recarsi presso la famiglia, essere vicino soprattutto dal punto di vista umano, pregare con loro (qualora lo desiderassero) celebrare il funerale religioso (ovviamente escludendo la celebrazione dell'Eucaristia) ed accompagnare la salma al cimitero.

Il "ministero della sofferenza", nato un po' in sordina fra questo presbitero sposato ed alcuni colleghi che aveva conosciuto, ebbe un certo successo al punto che i preti delle parrocchie vicine si avvalevano della disponibilità dei loro confratelli. Il vescovo della diocesi, saputa la cosa, rimase neutrale, nel senso che non l'impedì, né rimproverò aspramente i preti che avevano accettato la proposta dei loro confratelli sposati.

C'è un altro ministero di fatto, quello "tappabuchi". In una diocesi italiana un presbitero sposato viene coinvolto dal suo parroco a celebrare l'Eucaristia quando questi non riesce ad essere presente in una delle parrocchie affidate alle sue cure pastorali. La cosa non desta alcuna meraviglia fra i fedeli. Non so se la curia locale ne sia a conoscenza, ma anche questo ministero di fatto è un'esperienza che dura da diversi anni.

Un terzo ministero di fatto - che potrebbe essere assimilato a quello del catechista - viene svolto da un presbitero sposato che non si cura molto dell'opinione del vescovo diocesano e che definirei "ministero delle briciole". Il presbitero sposato in questione non fa mistero con nessuno di essere stato prete e di aver lasciato il ministero per sposarsi. Nel mondo del lavoro ha cominciato a far suonare un'altra musica, prima comportandosi secondo le proprie convinzioni e poi dialogando con colleghi e persone con le quali veniva a contatto. Il contabile di quell'azienda mi disse che aveva capito che Tizio era "diverso" perché "aveva una marcia in più". La marcia in più di Tizio si chiamava condivisione, ascolto, aiuto. Ci sono persone che non andrebbero mai dal prete della parrocchia a parlare dei loro problemi, ma lo fanno volentieri con Tizio. Succede persino che a Tizio, a volte, viene chiesto di capire meglio un precetto della morale o un brano di Vangelo e l'ora di pausa diventa un'occasione per farlo. Ho definito questo ministero il ministero delle briciole perché è un servizio che si svolge quando capita e che richiede serenità interiore e pazienza.

Tali ministeri possono esercitarli tutti, ma qui ho riportato l'esperienza di presbiteri sposati, esclusi dal ministero attivo solo perché, esercitando la sessualità tipica della natura umana, ma negletta e stupidamente sacralizzata dai gestori del sacro, sono stati cacciati come lebbrosi dall'hortus conclusus della casta. Il papa - che esorta le Conferenze Episcopali a segnalare ministeri straordinari o di fatto - potrebbe tenere conto di queste esperienze ministeriali attuate da quei presbiteri sposati ai quali ha promesso che "il tema è nella mia agenda", che ha visitato alla fine dell'anno del giubileo della misericordia, che ogni tanto riceve (chissà poi perché qualcuno sì, altri no: anche qui bisogna essere raccomandati) e che, ultimamente, ha deciso di lasciar perdere quando ha detto: "Sono dell'opinione di Paolo VI: preferisco morire piuttosto che rendere facoltativo il celibato".

Stia tranquillo, papa Francesco, viva tutto il tempo che Dio le concederà di vivere. Non dia la sua vita per il celibato. È sprecato offrirsi come olocausto sull'altare di una cosa così effimera. Spero che, se verrà a conoscenza di queste ed altre esperienze, abbia il coraggio di considerarle e riflettervi. 

IL POTERE DEL PRETE MASCHIO E CELIBE 


(08-07-2022). Una sociologa francese, Danièle Hervieu-Léger, intervistata da un giornalista di Le Monde (vedi: www.finesettimana.org), ritiene che il "potere" del prete sia il vero problema da risolvere sia per quanto riguarda il crimine degli abusi, che per le mancate riforme della Chiesa. Hervieu-Léger dice: "La Chiesa cattolica, almeno dal Concilio di Trento (1354-1563) si è costruita sulla sacralizzazione della figura del prete. Il prete ha uno status distinto dai fedeli, appartiene ad uno stato superiore. Questa separazione dai battezzati comuni coinvolge il corpo del prete, attraverso il celibato, a cui è tenuto a partire dalla riforma gregoriana (1073- 1085) e che fa di lui un essere "a parte". La funzione sacerdotale, nella Chiesa cattolica, non è quindi fondata innanzitutto sulla capacità di un uomo a rispondere ai bisogni spirituali di una comunità di credenti. Manifesta l'elezione divina del prete, il che lo pone al di sopra della comunità e gli dà un potere gigantesco. Il prete è il mediatore privilegiato, se non unico, della relazione dei fedeli cattolici con il divino: Cristo è presente nei gesti sacramentali posti dal prete. Bisogna comprendere che la sacralizzazione del prete limita considerevolmente la possibilità di opporsi ad un abuso che lui commette. Come ci si può ribellare ad un tale atto, come ci si può percepire come vittima quando l'aggressore rivendica un rapporto con il potere divino? Gli abusi sessuali, in questo contesto, sono quindi sempre anche abusi spirituali e abusi di potere".

Non posso che concordare con l'analisi della sociologa francese: più volte ho scritto riferendo un proverbio milanese "del pret e del re, parlà ben o tasè" (del prete e del re, parlarne bene o tacere), ma sembra che nessuno abbia voglia di rimboccarsi le maniche e scendere nel pratico.

La mia esperienza si racchiude nell'arco di tempo di questi ultimi 35 anni dove, al di là di quanto abbiamo cercato di fare mia moglie ed io, posso dire che vi sono state numerose (o forse innumerevoli?) sollecitazione da parte della "base ecclesiale" affinchè il tema si considerasse con un po' più di serietà di quanto non si sia fatto sinora. Movimenti nazionali (Vocatio, Or.Ma, Mo.co.va, Sacerdoti lavoratori sposati) ed internazionali (es. Federazione Europea preti sposati) creati da preti che hanno lasciato il ministero per contrarre matrimonio, ma anche associazioni laicali (Noi siamo chiesa, Comunità di Base...) hanno cercato dialogo con i Pastori e fatto proposte concrete che sono state regolarmente snobbate dalla sicumera ecclesiastica.

Qualcuno si è illuso che con l'avvento del papa regnante (perché anche questo papa "regna", non "serve") le cose cambiassero e la stessa sociologa vi coglie qualche segno positivo quando accenna alla scelta di donne messe a capo dei dicasteri, alla possibilità che le donne ricevano i ministeri del lettorato e dell'accolitato sino ad ora riservate ai maschi ed altri pannicelli caldi del genere.

Mi spiace, ma se andiamo avanti così continuiamo a rigirarci nel letto come fa il malato quando cerca refrigerio dalla febbre che lo brucia. Il febbricitante sa che, se vuole guarire, è meglio che prenda l'antibiotico o la tachipirina.

Il papa, qualche anno fa, a precisa richiesta di don Cereti sul tema del presbiterato uxorato, rispose che il tema era nella sua agenda, guardandosene bene dal dire la data impressa sull'agenda.

Sino ad ora ha proceduto per pannicelli caldi, neppure dando un colpo al cerchio ed uno alla botte, ma cercando di accontentare chi fa la voce più grossa, in perfetto stile don Abbondio. Secondo la sociologa Hervieu-Léger c'è un motivo: "... il papa continua ad essere paralizzato all'idea di spaccare la Chiesa cattolica in due" e, per questo, ha ripiegato sulla strategia dei piccoli passi, limitandosi a piccole riforme. Nella vita dei dirigenti c'è chi ha fortuna e chi no. Dipende da come si è capaci di vendersi. Se Benedetto XVI o Paolo VI avessero detto che qualche tema scottante fosse stato nella loro agenda e poi avessero fatto civetta, si sarebbero scatenati i fulmini di quei buoni cattolici che si ritengono progressisti. 

IL CELIBATO DAI SINODI 


(23-06-2022). In questi giorni le conferenze episcopali stanno elaborando definitivamente i risultati dei sinodi nazionali. Fra gli argomenti emergenti non poteva essere assente quello del celibato obbligatorio del clero. Non è l'unico argomento, certo, e non è neppure in cima alla lista, ma siccome dedico questa pagina del mio blog a questo argomento, mi fermo a considerare quanto dicono le comunità cristiane sparse nel mondo intero e, soprattutto, quello che dicono a Roma, anche se non richiesti.

Il card. Muller, per esempio, in un'intervista rilasciata sugli esiti del sinodo della chiesa tedesca, ha detto: "L'accanimento contro il celibato dei sacerdoti e l'infame sospetto che il celibato carismatico liberamente scelto per il Regno dei Cieli sia la fonte e la causa delle perversioni sessuali fino alle aggressioni criminali sugli adolescenti, è anche la prova lampante della distanza dal pensiero cattolico e in generale della negazione della grazia, che non contraddice la natura ma la purifica, la eleva e la perfeziona. Anche in questo caso, la maggioranza del Sinodo di Francoforte è sulla strada sbagliata e in opposizione al soprannaturalismo della fede e alla sacramentalità della Chiesa quando il Vaticano II dice: "La Chiesa ha stimato la continenza perfetta e continua per il regno dei cieli, raccomandata da Cristo Signore... soprattutto per quanto riguarda la vita sacerdotale". (Presbyterorum ordinis 16).

Giusto? No, eminenza. Mi scusi, ma non è così. Nessuno si sta accanendo contro il celibato forzoso o forzato e solo pochi sostengono che esso sia la fonte di perversioni sessuali del clero che stanno emergendo e che emanano un fetore nauseabondo che soffoca il profumo degli apostoli/e che senza vestire la porpora e per nulla vogliosi/e di riconoscimenti ufficiali testimoniano ogni giorno il Vangelo di Cristo, almeno come fa lei.

Lei sostiene che l'accanimento contro il celibato è la prova lampante della distanza dal pensiero cattolico e in generale della negazione della Grazia che non contraddice la natura, ma la purifica, la eleva, la perfeziona. Posso dirle che il pensiero cattolico può non coincidere con quello di Cristo che non previde il celibato quando scelse i suoi apostoli e non si preoccupò di metterlo in coda fra le beatitudini? Vorrei anche approfondire il concetto di "Grazia che non contraddice la natura, ma la purifica, la eleva, la perfeziona". Il catechismo della nostra chiesa definisce la Grazia " ...un dono abituale, una disposizione stabile e soprannaturale che perfeziona l'anima stessa per renderla capace di vivere con Dio, di agire per amor suo" (CCC 2000). Non mi pare che il catechismo della nostra chiesa cattolica dica quello che lei afferma. Perché la natura va purificata? Purificata da che cosa? Perché la Natura va elevata? Non è creata da Dio?

Lei sostiene che il sinodo tedesco sia sulla strada sbagliata ed in opposizione al soprannaturalismo della fede ed alla sacramentalità della chiesa perché la Presbyterorum Ordinis stima la continenza perfetta e continua per il regno dei cieli. Mi spiace dover ricordare ad un cardinale che la Presbyterorum ordinis non è una costituzione dogmatica, ma solo un decreto. Un decreto, si sa, può essere modificato più facilmente di una costituzione. Non solo. Un decreto spesso nasce sollecitato da esigenze immediate e contingenti. Ma non mi va di stare a fare l'azzeccagarbugli e torno al documento sinodale tedesco che lei ha già giudicato: è sbagliato. Non solo: si oppone alla fede e alla sacramentalità della chiesa. La fede della chiesa non prevede obbligatoriamente né il matrimonio dei preti, né il loro forzoso celibato. La fede della chiesa prevede che si creda in Dio e in Gesù Cristo. Gli apostoli, testimoni diretti del messaggio del Maestro, non toccarono per nulla simili argomenti. Quanto alla sacramentalità della chiesa non mi pare che essa sia meno "segno" della grazia e misericordia di Dio se c'è qualche prete che si sposa, né se il prete sia maschio o femmina.

Cominciamo male. È un déjà vu: anche quando si prepararono gli "instrumenta laboris" per il Concilio Vaticano II i papaveri di Roma misero ostacoli e mine lungo il percorso. Chissà perché questa gente ha paura dei propri fratelli di fede e imbraccia il bazooka ogni volta che si cerca di camminare con loro per giungere alla verità.

AGNUS DEI...MISERERE NOBIS 


(20-05-2022) "Agnus Dei. Gli abusi sessuali del clero in Italia". È il titolo di un saggio prossimamente (Solferino editrice) a firma di Lucetta Scaraffia, Anna Foa e Franca Giansoldati. Il tema: abusi sessuali del clero italiano.

Il dito è puntato contro la C.E.I. (che tra l'altro è chiamata ad eleggere il nuovo presidente) in quanto, come dice il comunicato stampa dell'editore "...solo in Italia e in Spagna le conferenze episcopali si rifiutano di collaborare, all'interno di una Chiesa in cui l'abuso e' tuttora considerato una trasgressione del sesto comandamento senza tuttavia che il diritto canonico ne consideri l'effetto e le conseguenze per le vittime".

Il libro esamina le posizioni dei papi degli ultimi anni, Benedetto XVI e Francesco compresi e propone un nuovo modus operandi: non basta un'esplicita condanna degli abusi. Occorre un ripensamento della sessualità a cui segua una riconciliazione con le vittime che passi anche da indennizzi economici per aiutare le persone a ricostruire la propria integrità.

Non saprei quanto questo libro possa contribuire a sensibilizzare ulteriormente il popolo di Dio che è in Italia su un tema che avvilisce l'intera comunità ecclesiale mondiale, ma ne scrivo perché mi ha colpito ancora una volta la riflessione che le Autrici (tutte firme autorevoli) invitano i Pastori a fare sul modo in cui si concepisce la sessualità da parte di una gerarchia che sembra rimanere gerarchia senza operare la necessaria metanoia in servizio pastorale.

Il vero problema è tutto qui. La chiesa italiana continua imperterrita a gestire la propria posizione con atteggiamenti autoreferenziali che la rendono sempre più indifferente non solo a chi ormai ha abbandonato da un pezzo la propria vita di fede (o ha deciso di continuare a viverla in altro modo), ma anche a chi continua a considerare il vescovo la guida di una porzione di chiesa che deve rendere testimonianza dell'amore di Cristo per l'uomo.

È finito il tempo in cui l'abito sacerdotale immunizzava chi lo indossava. Lo status clericalis non doveva esistere. È esistito. Prendiamone atto e facciamo una bella inversione a U. Chi sbaglia, paga. È intollerabile tutelare persone che hanno sfruttato la loro posizione per dare libero sfogo ad istinti repressi in campo sessuale incutendo nelle vittime una specie di metus reverentialis che autorizzava ogni nefandezza. E non si dica che il vescovo, venuto a conoscenza della cosa, ha parlato con il suo prete che, riconosciuto di aver sbagliato, si è pentito e - per evitare ulteriore scandalo - l'ha trasferito in altra parrocchia (si sa che il perverso ha continuato a far danni anche là). Non si dica che la misericordia del vescovo che "padre" dei suoi preti ha prevalso sulla giustizia che un padre deve assicurare alla sua famiglia, cioè alla diocesi.

Il vero problema è che il "troncare e sopire" che il conte zio manzoniano suggeriva al padre provinciale con l'obiettivo di allontanare fra Cristoforo ha continuato a fare mentalità in vescovi che prima di essere tali erano preti e sono stati formati allo spirito di protezione della casta soffocando gli scandali, soprattutto se riguardanti quella cosa così brutta, così sporca, così innominabile che si chiama sessualità. Celibi per legge, lo sono diventati per forza e si sono convinti che tutto quello che gira attorno al sesso è roba da postribolo, ragion per cui occorre mantenere alta la reputazione di una casta che, reprimendo la sessualità con ogni mezzo, si giustifica dicendo che lo fa in vista di quello che sarà l'uomo trasfigurato dopo la morte quando, abbandonando questo corpo così corrotto ai vizi del mondo, entrerà nel regno dei cieli dove non ci sarà più né moglie, né marito, ma tutti saranno come angeli di Dio.

Vero? Certo. L'ha detto Gesù. Ma Gesù non ha detto che non si deve vivere la propria corporeità, sessualità compresa. I vescovi lo sanno perché la loro corporeità la vivono appieno abbandonandosi ad altre gioie che - chissà perché - ritengono lecite tipo pranzi luculliani, speculazioni finanziarie (usando quale denaro o proprietà?), alloggi in palazzi vescovili che non sono propriamente appartamenti di pochi metri quadrati in falansteri alla periferia della città, acquisti di auto che non si possono definire semplici utilitarie.

È per questo che, quando sento cantare o recitare il "miserere nobis" avverto la nausea di una preghiera formale, ipocrita e persino offensiva della Persona alla quale la si rivolge.

IL PRETE, QUESTO MALATO. 


(28-03-2022). Gli episcopati del Nord Europa e del Sud America chiedono da tempo una profonda riflessione sul celibato, ma - come si sa - il Papa non affronta direttamente l'argomento, anche se in questi dieci anni di pontificato ha detto che è nella sua agenda, ha incontrato sette famiglie di preti sposati, ha ricevuto un prete della diocesi di Lione che era determinato a lasciare il ministero per contrarre matrimonio, ma - soprattutto - ha reso molto rapida la soluzione del processo canonico per i preti che chiedono la dispensa dagli oneri sacerdotali per poter contrarre matrimonio anche religioso (in genere sei mesi al massimo).

Ribadisco la mia convinzione che non è abolendo il celibato tout court rendendolo facoltativo (sia prima che dopo l'ordinazione presbiteriale o diaconale) che si risolve il problema della crisi delle vocazioni, come non è da imputarsi soltanto all'obbligo celibatario lo scandalo di vaste proporzioni che riguarda la pedofilia clericale.

Vi è un dato di fatto che è sotto gli occhi di tutti: ci sono sempre meno preti che svolgono il tradizionale ministero di servizio pastorale al quale la nostra società si è abituata da generazioni. Ritenere, come hanno fatto in passato Pastori che in buona fede hanno creato appositi uffici per la pastorale delle vocazioni, che il problema si risolva nella "propaganda vocazionale" significa affrontare la realtà con occhi da miope.

La società è cambiata e, con essa, anche l'approccio religioso che, come ho già ribadito più volte, non può più essere (ma non doveva esserlo fin dall'inizio) ridotto ad un rito iniziatico quasi incomprensibile che scandisce la nascita, la crescita, il matrimonio, la malattia e la morte di un individuo.

Il servizio ministeriale ad una comunità non appartiene alla sfera "fenomenologica" della comunità e del soggetto/a medesimo/a, ma si deve configurare dal punto di vista "ontologico" perché attiene sia l'essere della comunità che della persona che serve la comunità. In altre parole: la comunità cristiana è una comunità che vive la propria fede in un contesto comunitario più ampio (il paese, la città, la metropoli) dove altre persone della medesima comunità sociale vivono la propria vita spirituale aderendo a confessioni di fede diverse o anche essendo assolutamente indifferenti ad ogni tipo di vita spirituale che implichi la soprannaturalità. Il musulmano rispetterà il parroco come rispetta il suo imam. L'ateo, l'agnostico, l'indifferente rispetteranno il parroco e l'imam, il pastore, la pastora, il rabbino in egual misura.

La crisi delle vocazioni è generata da un progressivo cammino sociale intrapreso dalla Storia che ha coinvolto non solo le fedi religiose, ma anche fedi laiche come sistemi sociali che si fondano sul marxismo o il liberalismo e che stanno da tempo incamminandosi verso il wokismo o wokeismo con la solita costernazione dei laudatores temporis acti.

Pastori e nocchieri come Giovanni XXIII (il motto del suo stemma araldico era Pastor et Nauta) avvertirono gli scricchiolii della barca e paventarono la siccità dei pascoli. Lasciandosi guidare dallo Spirito quel Papa indisse un Concilio che voleva essere pastorale, ma - come sappiamo - dovette considerare anche l'aspetto dogmatico. Rimase e rimane una pietra miliare nella storia della Chiesa, ma - per quanto attiene il problema dell'evangelizzazione - si bloccò fra eccessive accelerate in avanti bilanciate da retromarce altrettanto possenti. Sforzare il motore non fa bene al motore stesso e può succedere che qualche pistone vada in avaria. Un pistone di questo motore, la figura del presbitero, ha cominciato a battere in testa e non ci furono Presbiterorum Ordinis, Sacerdotalis Coelibatus, Optatam totius, Pastores dabo vobis e via elencando che tenessero.

Qualche Pastore l'ha capito, ma non ha avuto il coraggio di dare voce al disagio che suoi fratelli di fede più volte hanno manifestato in colloqui personali. Succede spesso, non solo nella Chiesa, che si ha paura di fare un passo fuori dal sentiero ben segnato.

E il prete si è ammalato. La figura del prete è andata in crisi prima nel prete stesso che presso il popolo di Dio che, diciamocelo senza troppi giri di parole, preferisce un prete che faccia il suo mestiere che è quello di battezzare, sposare, funerare, tagliare nastri, amministrare prime comunioni e olio santo e, per il resto, lasci vivere perché la vita, quella vera, è un'altra cosa.

Guarire non è facile perché si tratta di riconsiderare la missione presbiteriale quasi in toto e, per farlo, occorre procedere per step che solo chi invoca costantemente il dono della Sapienza può gestire perché si tratta di capire come coniugare l'annuncio evangelico nella sua radicalità senza turbare gli animi prima dei preti e poi dei fedeli che, in assoluta buona fede, sono tranquilli perché "si è sempre fatto così".

Il punto di arrivo è rivoluzionario perché si tratta di rivedere quasi in toto la teologia sacramentaria che coinvolge la teologia morale ed il diritto canonico in quanto non mette in discussione, ma rivisita il concetto di "potestas sacerdotalis" trasformandolo in "munus ministeriale". Non si tratta più di pensare ad una figura che ha il potere di consacrare il pane e il vino, di perdonare o meno i peccati, di liberare l'anima del battezzando dal peccato originale o legittimare un'unione coniugale, ma di creare una figura che sia vocata al servizio di quelle cose che "sunt a Deo", che sono di Dio perché appartengono a quel giardino dell'anima umana che molto spesso neppure l'uomo stesso conosce di sé stesso, preso com'è dagli affanni della vita.

Come riuscire a rivisitare il concetto di potestas perché, a cominciare dal prete, esso diventi munus?

DICEVO CHE POTREBBE ESSERE LA VOLTA BUONA. 


(17-02-2022). È trascorso un mese dalla mia riflessione sull'incontro che il Pastore della diocesi di Napoli ha voluto con i preti della comunità affidata alle sue cure pastorali che hanno lasciato il ministero per contrarre matrimonio e non mi sono dimenticato dell'impegno di sviluppare una riflessione che ho lasciato sospesa nell'articolo precedente dove, a proposito di incontri con i Pastori, ho scritto: Non sempre (quasi mai?) è coinvolta la coppia (o la famiglia). Perché?

Perché c'è un clericalismo che il presbitero sposato - spesso senza accorgersene - si tiene dentro e, quando se ne accorge, non ha il coraggio di ammetterlo prima a sé stesso e poi chiaramente con moglie e figli. Non direi che si tratti di orgoglio, cattiveria, paura di lasciarsi mettere in discussione, penso - piuttosto - che sia da imputare alla formazione ricevuta.

Il seminario forma i giovani ad essere leader. Un prete era e doveva essere (adesso lo è un po' di meno) l'indiscusso punto di riferimento in un paese. Fino a pochi anni fa lo era assieme al dottore ed al farmacista. Non solo. L'impostazione della società era basata (e un po' lo è ancora) su tappe che si chiamano Battesimo, Prima Comunione, Cresima, Matrimonio e funerale, dove il parroco ha un ruolo insostituibile. Vi siete mai chiesti il motivo per cui, ancora oggi, in una parrocchia, tutta la popolazione è coinvolta quando un membro di quella comunità celebra la prima messa, cosa che non succede quando un membro della stessa comunità si sposa?

Un prete, dunque, "sente" di dover essere un punto di riferimento e si abitua ad uno stile di vita che non è facile cambiare quando lascia il ministero per formare una famiglia. Non abituato all'autocritica perché a questa non è stato educato, non riesce a smettere l'autoreferenzialità che lo status gli conferiva. Va da sé che conduce una vita famigliare assolutamente irreprensibile sotto molti punti di vista, ma a volte carente di condivisione di scelte con la propria sposa e/o i figli. Comprensibile: in parrocchia faceva e decideva tutto in totale solitudine. Per quanti preti, ancora oggi, il consiglio pastorale è una zavorra ereditata dal Concilio Vaticano II?

Che c'entra questa riflessione con la domanda con cui inizia quest'articolo? C'entra, eccome! C'è il rischio che - negli incontri sia fra presbiteri sposati che con i Pastori disponibili ad un dialogo costruttivo - si faccia un presbiterio all'incontrario in cui un positivo ed entusiastico "volemose bene" fa passare in secondo piano il vero motivo che deve animare l'auspicato dialogo costruttivo che deve rispondere alla domanda di fondo: è possibile costruire un percorso ecclesiale dove il servizio ministeriale contempli NON il presbitero uxorato sic et simpliciter, ma LA FAMIGLIA del presbitero uxorato?

Anni fa, nell'intento di capire come proporre meglio una visione di sacerdozio ministeriale (preferire la definizione "servizio ministeriale, ma questo è un altro tema) ai Pastori che acconsentivano d'incontrami, cercando di raccogliere esperienze dove tali realtà erano già in essere, incontrai due preti (uno sposato ed uno celibe) di una diocesi italiana di rito orientale e, qualche mese dopo, ebbi l'occasione di incontrare anche la moglie di un presbitero di un'altra eparchia italiana. La sensazione che riportai dai colloqui fu una sola: il prete, in famiglia, gestiva le cose come in parrocchia. La moglie del prete non si era mai posta il problema e, a mia precisa domanda, rispose che aveva accettato il suo ruolo di madre di famiglia dove il marito, essendo prete, doveva fare quello che gli competeva. Lei non aveva nulla da obiettare sulle decisioni che riguardavano la sua famiglia, l'educazione dei figli o altro. Ciò che lui diceva le andava bene. En passant annoto che rimasi alquanto sorpreso quando, a mia esplicita domanda, in quella diocesi ed in quell'eparchia gli incontri del clero erano riservati al clero. Le mogli dei preti si incontravano per conto loro (un po' come succede nelle nostre diocesi per le familiari dei sacerdoti). Il vescovo non incontrava mai il suo clero comprendendo anche mogli e figli dei suoi preti che erano sposati.

Perché c'è una recondita, inconfessabile "reservatio mentalis" che il matrimonio (per fortuna non più inteso come "remedium concupiscientiae") è il figlio minore della verginità e - nonostante la "Mulieris dignitatem" e tutto il gran parlare del ruolo della donna nella chiesa - la femmina deve rimanere un passo indietro, come - del resto - è ancora nel sentire comune non solo ecclesiastico. Le stesse donne che lo "sentono" e, quindi, lo sanno. Non l'ammettono esplicitamente, forse, ma l'avvertono perché questo sentire appartiene alla formazione ricevuta da una società in cui si è cresciuti e si è stati formati così. L'avvertono e l'accettano, come accettano di lavare i piatti, fare la lavatrice e stirare dopo una giornata di lavoro che hanno sostenuto al pari del marito. Anche questo motivo va considerato come risposta all'interrogativo di cui sopra? Sì, perché in un contesto ecclesiastico mi pare di riscontrare poca Ecclesìa.

Perché spesso la stessa coppia e la famiglia dove il padre è stato prete non hanno voglia di mettersi in gioco. Mettersi in gioco significa mettersi in discussione. Non ne ha voglia il presbitero sposato perché le preoccupazioni del lavoro e gli impegni familiari l'assorbono al punto che riesce a mala pena a ritagliarsi uno spazio per sé stesso. Non ne ha voglia la moglie per il medesimo motivo del marito. Non ne hanno voglia i figli che, crescendo, hanno possibilità di confrontarsi con realtà e filosofie di vita diverse da quelle familiari e, spesso, non hanno nessuno intenzione di perdere del tempo con un mondo che rispettano (quando non lo contestano), ma che avvertono lontano da sé in quanto altri sono i valori che li affascinano e coinvolgono. Non ha senso, pertanto, mettersi in gioco quando non si gioca in solidum perché viene meno la prima regola del gioco che è quella di mettere in comune esperienze diverse per capire su quali basi riflettere per iniziare un cammino che è profetico per una Chiesa che sta cercando un nuovo linguaggio per continuare l'annuncio evangelico.

Coinvolgere la famiglia del presbitero sposato è importante perché, altrimenti, si parte con il piede sbagliato. Di questo devono essere coscienti sia i presbiteri sposati che i Pastori che si rendono disponibili ad incontri. È necessaria la chiarezza. È necessario il confronto con diocesi o eparchie dove l'istituzione del presbiterio uxorato è secolare. È necessario un progetto che deve essere fatto con la testa e con il cuore di tutti perché la testa aiuta a riflettere, il cuore fa superare le piccolezze umane che frenano un gesto profetico.

Loro (Padre, Figlio e Spirito) faranno il resto.

POTREBBE ESSERE LA VOLTA BUONA 


(15.01.22). Il Pastore della diocesi di Napoli don Mimmo Battaglia ha incontrato un gruppo di presbiteri che hanno forzatamente lasciato il ministero per contrarre matrimonio. La notizia non ha avuto un'eco mediatica e ne sono particolarmente felice perché penso che il clamore mediatico che enfatizza notizie simili a queste serva solo a sottolineare un aspetto che poco ha a che fare con il vero tema che mi sta a cuore: i preti che lasciano il ministero per sposarsi non lo fanno per fare sesso ad oltranza (come si lascia intendere in quasi tutte le trasmissioni che affrontano l'argomento con la tipica superficialità con cui oggi si affrontano argomenti seri) ma per coerenza a scelte di fondo che hanno maturato con la propria moglie che riguardano anche il modo di vivere la propria sessualità, ma più in generale la riforma della chiesa.

La notizia dell'incontro con il vescovo della Chiesa partenopea mi è stata comunicata da Giovanni Monteasi (storico presidente di Vocatio, la prima associazione italiana che ha dato una voce ai preti che lasciano il ministero per contrarre matrimonio) e da Lorenzo Tomaselli, laico, professore, molto attento e sensibile ai temi della riforma della Chiesa. Giovanni mi ha comunicato la notizia con il bonario e contagioso entusiasmo che lo contraddistingue. Lorenzo l'ha completata aggiungendo particolari che mi hanno aiutato a capire il gesto di don Mimmo Battaglia che penso non debba rimanere solo un episodio ed è per questo motivo che reputo che questa potrebbe essere la volta buona.

La volta buona di che cosa? Di un costante e non affrettato né affettato confronto con i Pastori della chiesa italiana che avranno voglia di considerare il tema del presbiterio uxorato non come problema da nascondere come si fa con la polvere che si mette sotto il tappeto, ma come opportunità per affrontare emergenze pastorali che si fanno sempre più cogenti nelle diocesi e, soprattutto (questo è sempre stato il mio obiettivo), mettere le basi per una teologia sacramentaria sul servizio ministeriale che contribuisca a rendere la comunità cristiano-cattolica più attenta ai segni dei tempi.

Non sapendo che sviluppi potrà avere l'incontro avvenuto con il vescovo di Napoli e temendo che anche questo incontro possa essere confinato nel cestino delle buone intenzioni o del politically correct come è già accaduto in passato, mi permetto di esprimere la mia visione di un possibile modus operandi perché alle buone intenzioni seguano concreti progressi anche su questo sentiero della più ampia strada della riforma della chiesa.

Il gesto del vescovo di Napoli non è stato il primo in ordine di tempo compiuto da Pastori della chiesa italiana. Non pretendendo di essere esaustivo dirò ciò che conosco. Ricordo di incontri (mai ufficiali) che il card. Pellegrino di Torino tenne con coppie di preti della sua diocesi e, sempre in Piemonte, il vescovo di Alba (mons. Vallainc) negli anni '80 incontrò tre coppie di preti sposati della sua diocesi prendendo l'iniziativa egli stesso. Erano tempi diversi che sembrano lontani. Tanto lontani che quando mi furono riferite le notizie dagli interessati con i quali ero in contatto (allora ero ancora nel ministero attivo e mi occupavo anche di comunicazioni sociali in merito a problemi ecclesiali) tutti mi raccomandavano la più riservata riservatezza che rispettai. Più recentemente il vescovo-abate di Modena/Nonantola ha invitato i preti sposati della sua diocesi per un colloquio. Non mi sono informato se vi è stato un prosieguo concreto. Qualcosa di più concreto è stato fatto con la disponibilità dell'allora Pastore della diocesi di Ascoli Piceno don Giovanni D'Ercole che si è materializzato in un convegno nazionale organizzato a Roma da Vocatio dove hanno partecipato molte coppie di presbiteri sposati, laici sensibili anche a questo tema fra i temi della riforma ecclesiale e anche qualche donna che ama un prete, ne è corrisposta, ma purtroppo è ancora costretta a vivere nella clandestinità questo rapporto d'amore. L'anno successivo, siamo nel 2018, ad un incontro di Vocatio organizzato a Roma, si è presentato a sorpresa mons. Pietro Meloni, vescovo emerito di Tempio-Ampurias che ha assistito all'incontro manifestando interesse per i temi dibattuti.

La cronaca potrebbe continuare, ma torniamo al punto.

Perché la cosa possa avere un seguito costruttivo penso che si debba puntare sulle realtà diocesane dove si trova un Pastore disposto ad ascoltare, dialogare, collaborare, individuare realtà pastorali dove operativamente la testimonianza di presbiteri sposati possa essere un segno per un nuovo modo di intendere e realizzare la pastorale. I preti che lasciano il ministero sono già presenti, anche se in ordine sparso, nel mondo ecclesiale. Molti sono aiutati dal proprio vescovo il quale affida loro l'insegnamento della religione cattolica (e a molti va bene perché trovano subito un lavoro sicuro), altri sono cooptati in attività caritative/sociali, altri (non sempre il vescovo ne è a conoscenza) insegnano catechismo, qualcuno è ministro straordinario dell'Eucaristia, qualcun altro presta la propria opera presso l'ufficio parrocchiale. So di un presbitero sposato che si occupa della segreteria vescovile e, quando me lo comunicò, fui contento per lui e per il vescovo che mostrò attenzione. Non sempre (quasi mai?) è coinvolta la coppia (o la famiglia). Perché? A questa domanda risponderò in un successivo articolo.

Un vescovo, nella sua diocesi, è "princeps" nel senso che è responsabile in toto della vita diocesana quindi, se ha la volontà di farlo, può considerare la disponibilità delle coppie di presbiteri sposati e costruire con loro un percorso che è sicuramente sperimentale e, pertanto, passibile di perfezionamento in fieri che però deve fondarsi su alcune basi che devono essere chiare a tutta la diocesi. Le basi sono semplici, ma non per questo di facile accettazione. La comunità diocesana deve sapere che un prete che si sposa, sua moglie ed i suoi figli sono cristiani cattolici a tutti gli effetti e solo una regola disciplinare (nata per una ragione che da tempo si è rivelata sorpassata) il prete non può continuare l'esercizio del servizio ministeriale a tutti gli effetti. Prima di intraprendere percorsi che possono essere divisivi invece che costruttivo/comunionali (mi si passi l'endiadi azzardata) è il caso di coinvolgere i consigli presbiterale e pastorale diocesani. Le cose fatte alla luce del sole non guastano mai. I pareri saranno negativi? Benissimo. Meglio così: è inutile calare cose dall'alto, forzare qualcosa che invece di essere agevolato, sarà osservato con critico sospetto.

Anche i presbiteri sposati, però, devono fare la loro parte. A mio avviso è necessario che facciano chiarezza fra loro. Per alcuni (non saprei se parlare di coppia o solo del prete sposato) il coinvolgimento nella vita diocesana non significa null'altro che poter tornare a gestire una parrocchia come facevano prima. Per altri non ha più senso parcheggiarsi in una canonica come il buon vecchio parroco. Vedono meglio la figura del prete e di sua moglie che lavorano, accudiscono alla famiglia, esercitano il servizio della Parola e dell'Eucaristia in una comunità che deve sempre più prendere coscienza di essere cristiana in quanto vivere il Vangelo in modo totalizzante è molto più impegnativo che relegare la pratica cristiana al culto festivo ed alla celebrazione occasionale dei sacramenti e dei sacramentali. Altri ancora pensano di poter svolgere il ministero della celebrazione dei sacramenti in modo occasionale: visto che i preti sono sempre di meno, se serve ci siamo anche noi che siamo ancora capaci di dir messa. Le sfaccettature del prisma del mondo del clero cattolico sposato, come si vede, sono diverse. Se non si trova una base comune è difficile partire col piedi giusto.

In ogni caso: potrebbe essere la volta buona. Per adesso mi fermo qui.

DIMESSO PER CHIACCHIERICCIO 


(09-12-2021). E così il papa ha accettato le dimissioni del vescovo di Parigi Michel Aupetit perché gira voce che ha avuto una storia sentimentale. "Ho dovuto dimetterlo per il chiacchiericcio ma il suo peccato carnale non è dei più gravi", ha detto ai giornalisti che l'hanno provocato sul tema.

Gesuitico il nostro papa. Se la cava sempre in modo abbastanza indolore. Tutti gli credono, apprezzano la dichiarazione e si va avanti fino al prossimo problema.

Strano che nessun giornalista abbia potuto replicare: "Ma non è l'unico chiacchiericcio che gira sulla vita sessuale del clero. Lo sa, vero? E se lo sa, perché Aupetit si deve dimettere ed altri no?" Ma non si può fare. Non si può replicare al papa. Una domanda, una risposta. Avanti il prossimo, ma non sullo stesso tema. Oppure, altra domanda: "Se il peccato carnale di Aupetit non è dei più gravi, in chi è consistito? Qual è il peccato carnale più grave?". Ma, anche qui, non si può. Non sono domande da farsi.

Come che sia il vescovo di Parigi lascia la guida della diocesi per un chiacchiericcio. Il problema è che non credo che si tratti solo di chiacchiericcio perché se così fosse e se la regola valesse per tutti, da domani assisteremmo ad un bel po' di dimissioni. Quattro o cinque anni fa, per lo stesso motivo, è stato dimesso Javier Salinas, vescovo di Palma de Mallorca, colpevole di aver mantenuto "una relazione impropria" con una donna sposata e di "aver interferito" nella rottura del suo matrimonio. Anche qui lo scandalo era da mesi era sulla bocca di tutti perché Sonia Valenzuela, donna sposata dell'alta borghesia maiorchina, collaboratrice del vescovo era soprannominata 'la novia dell'obispo', la fidanzata del vescovo che, fra l'altro, si era interessato presso la Santa Sede per far annullare il matrimonio di Sonia.

Il vescovo di Mallorca è rimasto vescovo ed è stato spostato come vescovo ausiliare di Valencia. Succederà la stessa cosa a Aupetit: il peccato carnale che ha commesso non è dei più gravi, l'ha detto il papa che continua a firmare richieste di dimissione dallo stato clericale per preti che vogliono contrarre matrimonio religioso e, ultimamente ha firmato anche per un vescovo.

Ma il celibato obbligatorio resiste, fulgida gemma del sacerdozio cattolico occidentale, richiamo escatologico della vita eterna in un Paradiso dove "neque nubent, neque nubentur" (Mt 22,30), esempio di totale disponibilità agli altri senza il peso della famiglia e di sacrificio della propria sessualità per il regno dei cieli.

Il gesuita Jorge Mario Bergoglio, con l'autorevolezza conferitagli dalla "missio papalis" ricorda che il peccato carnale non è poi così grave. Altri sono i peccati gravi di cui un cristiano (vescovi, preti, frati, suore compresi) si può macchiare, non certo una storia sentimentale condita di un po' di sesso con una donna o con un uomo che il celibe per vocazione (o rassegnato per costrizione) può avere durante la sua vita di prete.

Vero? Vero, anzi verissimo! Ma con una conclusione obbligatoria: chi sbaglia, paga. Chi manca alla promessa del celibato o al voto di castità/verginità pronunciato fa la cortesia di togliersi l'abito religioso e di mettersi alla ricerca di un lavoro ed una casa, fino a quando la chiesa (con la "c" minuscola) non stabilirà altrimenti. Ma, anche qui, campa cavallo che l'erba cresce. Il tema era nell'agenda di papa Francesco cinque o sei anni fa. 

CRESCONO I CATTOLICI, DIMINUISCONO I PRETI 


(22-10-2021). Un amico, Lorenzo Tommaselli, mi ha inviato un articolo di Andrea Filloramo che riporto in gran parte.

"...la Chiesa Cattolica, pur mantenendosi spesso lontano dalla scienza che esige la conoscenza matematica, utilizza la statistica, a fine pastorale, come risulta da diverse fonti. A tal proposito ho sott'occhio le tavole tratte dall'«Annuario Statistico della Chiesa», aggiornato al 31 dicembre 2018, riguardanti i membri della Chiesa, le strutture pastorali, le attività nel campo sanitario, assistenziale ed educativo. Leggo, quindi, che in quella data, il numero di quanti si professavano cattolici nel mondo era di 1.328.993.000 persone, con un aumento complessivo di 15.716.000 dall'anno precedente e la percentuale era del 17,73% del totale. Nel biennio 2018-2019, il numero dei preti era 414.336. A fronte di importanti incrementi per l'Africa e per l'Asia, in Europa e in America c'è stata una flessione, rispettivamente dell'1,5% e di circa mezzo punto percentuale. Ma, volendo, limitare la nostra conoscenza all'Italia: quanti erano allora i cattolici e preti? Per rispondere a questa domanda abbandoniamo l'Annuario Statistico del 2018 e facciamo riferimento a dati (non so se ce ne sono altri più recenti) che sono quelli pubblicati sul sito della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), che, nel 2019, ci ha fatto conoscere che su 59,73 milioni di abitanti, il 97,67% degli italiani si dichiarava cattolico ed è stato battezzato secondo il rito della Chiesa cattolica (secondo, però, un'indagine Eurispes solo il 36,8% era praticante) e che il numero dei preti dal 1990 a al 2019, cioè in quasi in 30 anni, è calato di circa 15mila unità con una flessione del 27%, andando sotto quota 40mila, precisamente a quota: 33.941. Di questi solo, però, 30.985 ancora erano in grado di prestare un ministero attivo al servizio delle diocesi. Anche le ordinazioni, in quegli anni, hanno subito il drastico calo di un terzo nel primo quindicennio del nuovo millennio, così pure il numero dei seminaristi, che sono diminuiti del 31%, per non parlare dei religiosi. Secondo studi recenti, inoltre, il dato più preoccupante è l'invecchiamento del clero italiano: "I preti con oltre 80 anni erano il 4,3% nel 1990, mentre sono diventati il 16,5% nel 2019, i preti con meno di 40 anni erano il 14% del clero italiano nel 1990, mentre rappresentano non più del 10% nel 2019". L'età media dei preti diocesani è passata dai 57 anni del 1990, ai quasi 60 anni nel 2010 e ha superato i 61 anni nel 2019, in un processo di invecchiamento che, con la crisi delle vocazioni, ha avuto luogo, a margine e dopo il Concilio Vaticano II quando il trend delle vocazioni era ancora in crescita e molte diocesi erigevano nuovi seminari o ampliavano quelli esistenti. Rispetto alle vocazioni, le cifre mettono in luce un interessante geografia dei preti delle regioni: fatta eccezione, infatti, per il Lazio (+11%), nel trentennio 1990-2019 a nord di Roma si assiste a un vero tracollo. In testa in termini negativi il Piemonte con -32 %. Seguono la Liguria (-31%), l'Emilia-Romagna e il Triveneto (-28%), Marche e Toscana (-24%). I dati, quanto mai significativi allarmano i vescovi ma ormai molti di essi vivono come normale il fatto che non vi siano più da anni ordinazioni presbiterali e delle vocazioni, che un tempo dovevano essere la prima cura del vescovo e fanno quel che possono per non lasciare le parrocchie prive di preti. Alcuni suppliscono con l'inserimento di sempre più numeroso clero extracomunitario. Mentre nelle parrocchie tutto, però, continua a ruotare attorno alla figura del prete, Papa Francesco punta sui ministeri istituiti riconoscendo il ruolo dei catechisti e aprendo alle donne il lettorato e l'accolitato. Si va verso, quindi, una Chiesa in cui l'unico popolo sacerdotale eserciterà diversi ministeri, ordinati e istituiti? Sarà un argomento del prossimo Sinodo? Perché ci sono tante resistenze ad andare in questa direzione? E quali scenari si aprono?

Erio Castellucci, nel suo Sito, scrive: "La diminuzione dei presbiteri, specialmente in Occidente, è certamente molto forte e non si prevedono cambiamenti di rotta, almeno a breve. Una risposta inadeguata sarebbe quella di mantenere la struttura pastorale delle nostre comunità cristiane così com'è e cercare risposte altrove. Non si tratta cioè di trovare 'sostituti', siano essi preti immigrati o altre figure che pur non essendo presbiteri continuano a far dipendere la comunità da un'unica persona".

La strada potrebbe essere quella suggerita da Luciano Moia, caporedattore di mensile di "Avvenire", che scrive: "In Italia ci sono circa 6 mila preti (80mila nel mondo) che hanno ottenuto le dimissioni dallo stato clericale e la conseguente dispensa dagli obblighi presbiterali. Se soltanto un quarto fosse disponibile a "rientrare" la Chiesa italiana potrebbe disporre immediatamente di circa 1.500 preti in più. «Ma è un calcolo per difetto. Tra le centinaia di preti sposati che conosco, la maggior parte sarebbe felicissima di essere riammessa a pieno titolo. Naturalmente nelle condizioni coniugali e familiari in cui si trova». Ma diciamolo con chiarezza: sicuramente i preti che "vorrebbero ritornare" non accetterebbero mai il clericalismo che li ha indotti a "lasciare". Se ciò dovesse accadere, si tratterebbe di una rivoluzione nella Chiesa di ampiezza impensabile, che prima o dopo il Papa attuale o i suoi immediati successori, sono quasi obbligati a prendere, se non trovano altre soluzioni".

Quanto ho evidenziato in neretto è "scontato" per chi si interessa del mondo ecclesiale e, in particolare, del ministero del presbiterato. I preti calano e non solo perché scelgono di abbandonare il ministero per sposarsi, ma perché "fare il prete" da grande non esercita più l'appeal del mestiere come succedeva ancora negli anni Sessanta e Settanta quando la figura del parroco affascinava il ragazzino che, dopo la prima comunione, quasi obbligatoriamente faceva il chierichetto. È noto anche il fenomeno dell'invecchiamento del clero. Filloramo si limita a citare la statistica dell'età media del clero in servizio, ma andrebbe anche evidenziato un altro tipo di "invecchiamento", quello di un clero autoreferenziale e sempre più ridotto a funzionario di Dio che salta come un grillo fra una comunità parrocchiale e l'altra per garantire la messa di qui, il funerale di là, il battesimo dall'altra parte e non solo. Sì, non solo. Perché accanto ai sacramenti, ai sacramentali e gli annessi e connessi c'è anche l'amministrazione ordinaria di tre, quattro, cinque parrocchie con i loro beni mobili ed immobili che richiedono manutenzione.

Ritengo molto interessante, invece, la conclusione dell'articolo con la quale mi trovo in perfetta sintonia perché la riflessione/domanda ivi espressa è stata espressa più volte anche dal sottoscritto.

Filloramo scrive: "Mentre nelle parrocchie tutto, però, continua a ruotare attorno alla figura del prete, Papa Francesco punta sui ministeri istituiti riconoscendo il ruolo dei catechisti e aprendo alle donne il lettorato e l'accolitato. Si va verso, quindi, una Chiesa in cui l'unico popolo sacerdotale eserciterà diversi ministeri, ordinati e istituiti? Sarà un argomento del prossimo Sinodo? Perché ci sono tante resistenze ad andare in questa direzione? E quali scenari si aprono?". Belle domande! Sì, sono convinto che si andrà verso una Chiesa che si chiamerà "Ecclesia" dove non ci saranno ministeri ordinati ed istituiti, ma ministeri sic et simpliciter, svolti da maschi e da femmine, espressi dall'unico popolo sacerdotale che non riconoscerà un'autorità perché costituita ed imposta, ma la cui autorevolezza è riconosciuta dalla comunità stessa che ritiene Tizio o Caia persone che possono essere ministri/e della Parola e del Pane di Vita come certamente successe nei primi secoli della vita della Chiesa quando il messaggio cristiano andava diffondendosi fra le città ed i villaggi dell'impero romano.

Filloramo si chiede se questo sarà un argomento del prossimo Sinodo. Ne dubito fortissimamente. Il motivo è proprio da cercarsi nelle resistenze che si levano da più parti e non solo dal mondo cosiddetto clericale (aggettivo che sta assumendo sempre più un significato sprezzante e negativo che non condivido), ma da un laicato che preferisce che le cose vadano avanti così perché - non so quanto coscientemente - avverte che se cambiano, si mette male per lui. Meglio battezzare e cresimare i figli e poi continuare a farsi i fatti propri. Meglio andare a messa alla domenica (oppure a Pasqua, a Natale, ai Morti e a Ferragosto) e lasciare l'offerta per i poveri che occuparsi dei poveri (che non sono solo quelli che non hanno da mangiare o da vestire).

Quali sono gli scenari che si aprono?, si chiede Filloramo. Molti. Alcuni prevedibili, altri no. I prevedibili sono duri da accettare: che ne sarà delle nostre magnifiche chiese, dei paramenti, dei tesori, degli immobili, delle organizzazioni, dei dicasteri, dei palazzi, dei conventi? Dovremo pensare che lì dove adesso c'è un resort c'era un convento (in parte è già un po' così) e che quel bellissimo mobile intarsiato da un ebanista sopraffino dove la padrona di casa rileva bicchieri e grappa era un confessionale del duomo di... che adesso è una prestigiosa location di convegni internazionali.

Antipatico dirlo, antipatico scriverlo, antipatico leggerlo.

ASSOLTO IL CHIERICHETTO DEL PAPA 


(07-10-2021). Nel preseminario S.Pio X, in Vaticano, confinante con la Casa di Santa Marta dove alloggia il papa, stanno sbaraccando per traslocare fuori dalle sacre mura. L'ha voluto il papa, dopo che sulla sacra piccola città s'è addensata la nube di una possibile pedofilia che sarebbe albergata proprio fra quelle mura del preseminario dove anch'io ho trascorso una breve parte della mia esistenza.

La storia è stata tirata fuori da Gianluigi Nuzzi che ci ha fatto pure un libro e non mi dilungo a raccontarla perché basta andarsi a cercare su Google cosa si dice che sia successo e quale reato sia stato o sarebbe stato perpetrato nel luogo dove sono ospitati i chierichetti del papa e poco importa che ieri il giudice Pignatone, dopo accurata indagine, abbia assolto tutti gli imputati. Il papa, a scanso di equivoci, non ha atteso la fine del processo, ma ha convocato il rettore del preseminario e gli ha detto di trovarsi un altro alloggio, fuori dalle mura vaticane, ma in Roma perché i chierichetti svolgono un prezioso servizio nella basilica di san Pietro. Don Angelo, il rettore nonché superiore dell'Opera don Folci, ha curvato il capo e s'è messo a cercare un posto dove continuare l'opera del padre fondatore pensando anche a come organizzare il servizio liturgico in basilica perché un conto è scendere dal letto e percorrere i 200 metri che separano il preseminario dalla sagrestia della basilica e un conto sarà raggiungere la basilica correndo per le strade di Roma.

Ma anche questo è un altro problema che sicuramente sarà risolto. Non sarà risolto, però, il problema della macchia che aleggerà minacciosa sulla Congregazione dei Sacerdoti di Gesù Crocifisso: fra quelle mura si aggiravano giovani perversi che tentavano altri giovani ed i superiori, venuti a conoscenza del fatto, hanno taciuto. Non solo, hanno derubricato le denunce come stupidaggini e consentito che il denunciato fosse ordinato prete, ma il Tribunale vaticano ha deciso di prosciogliere i due sacerdoti imputati, assolvendoli da alcuni reati, dichiarando l'impunibilità per altri e la prescrizione per altri ancora. La sentenza è di primo grado ed è possibile il ricorso in appello.

Intanto, però, fuori dai piedi. L'ha voluto il papa in persona e con lui tutti i Draconi che non solo non ammettono che si sbagli, ma non hanno neppure la pazienza di attendere una sentenza di un loro tribunale. Gesù, quando vide Zaccheo, provò compassione (miserando atque eligendo , è il motto dello stemma papale), ma la misericordia si predica, non si pratica. 

«Il problema della chiesa è legare il potere a questioni di sessualità»


Condivido intervista a Josselin Tricou, a cura di Camille Bauer gentilmente giratami dal prof. Lorenzo Tomaselli. Quanto riferisce Tricou è il mio stesso pensiero.

in www.humanite.fr del 21 febbraio 2019 (traduzione www.finesettimana.org ). Per il sociologo Josselin Tricou, specialista di questioni di genere nella chiesa, i problemi di pedocriminalità nella chiesa sono legati al rifiuto di affrontare le relazioni di potere e all'assenza della nozione del consenso nella visione della sessualità.

A suo avviso, qual è il senso del vertice sulla pedocriminalità che si apre oggi in Vaticano?

Per la chiesa, che si trova ad affrontare quasi ogni settimana un nuovo caso di abuso sessuale, è un po' un raduno dell'ultima chance. Questo vertice indica la volontà di andare al di là delle situazioni locali per uniformare la presa di coscienza e le procedure. Il fatto che, fino ad ora, i discorsi tenuti sull'argomento siano stati poco seguiti da effetti, ha aumentato il discredito dell'istituzione. Oggi è in gioco la credibilità stessa della chiesa. La difficoltà deriva dal fatto che i vescovi sono indipendenti nella loro diocesi. Non sono obbligati ad attuare quanto decreta il papa. Inoltre, quelli in carica lo sono da molto tempo. E per anni, la chiesa ha applicato la stessa routine organizzativa. Di fronte a un prete deviante, indipendentemente dalla sua devianza, l'istituzione si limitava a trasferirlo. Molti dei vescovi che si riuniscono oggi hanno applicato questo metodo, non per cinismo, ma perché era quello che si faceva. Riunendoli fisicamente e assicurandosi che odano la stessa cosa, il papa, che ha molte persone contro di lui nell'amministrazione centrale, può sperare di limitare queste disfunzioni locali e queste abitudini.

Perché la chiesa ha tardato tanto a rendersi conto della vastità del problema?

Uno dei freni essenziali alla presa di coscienza della gravità dei fatti è la visione della sessualità e del potere che regna nell'istituzione. All'interno, il potere è sempre concepito come un servizio. I preti sono definiti "ministri", che in latino significa servi. Questo lessico, come quello della famiglia - si parla di "padre", di "fratello", di "sorella" - rende meno evidenti le relazioni di potere. Tanto più che le persone che lo detengono sono percepite come sacre e come sacrificate - dal celibato e dalla povertà. Questo impedisce di vedere che i preti sono persone di potere, e che possono quindi commettere abusi di potere. A ciò si aggiunge lo sguardo della chiesa sulle questioni sessuali, sempre più lontano da quello del resto della società. Nella visione della chiesa, il consenso non è mai stato affrontato come problema. Centrale è la restrizione, poiché la sola pratica sessuale legittima è quella attuata in una coppia sposata stabile, in vista della procreazione. La nozione di stupro, ad esempio, è stata inserita nel catechismo solo molto di recente. E per il clero, la cultura sessuale consiste nella proibizione totale, senza alcuna attenzione allagradualità. Questo fa sì che vengano messi sullo stesso piano la masturbazione e lo stupro di bambini, senza grande distinzione tra i due comportamenti.

Alcuni ritengono che il celibato dei preti spieghi questi abusi...

È una pista di spiegazione sbagliata. Ci sono delle persone celibi al di fuori della chiesa senza che questo ponga problemi. Il problema della chiesa, infatti, è mettere in relazione il potere con questioni di sessualità. Ottenere quel potere ed esercitarlo legittimamente non si fa in funzione di competenze professionali, ma della capacità di essere astinenti o, comunque, di dare l'impressione di esserlo. Quando il potere è legato alla sessualità, è molto probabile che gli abusi di potere si verifichino in questo settore... È per questo, e lo si vede dalle testimonianze di suore che cominciano ad uscire allo scoperto, che non sono solo i bambini ad essere coinvolti. Escluse dal potere, le donne nella chiesa sono anch'esse potenzialmente vittime di quegli abusi. Ciò che è in gioco, è proprio una questione di dominazione. Sulla percezione del bambino, la chiesa non è più in ritardo rispetto al resto della società. La "santuarizzazione" (sanctuarisation) dei più giovani, così come la giudizializzazione degli atti di pedocriminalità risalgono solo agli anni 80 del '900. La chiesa non è l'unica istituzione in cui, fino a poco tempo fa, il fatto che un bambino venisse molestato non veniva considerato un grosso problema.

Quale ruolo svolge la cultura del segreto?

La cultura del segreto è molto importante nella chiesa. C'è una fortissima chiusura del clero su se stesso e la divisione tra laici e clero è molto forte. Inoltre, non c'è alcun contro-potere. Di fronte a questa situazione, oggi ci sono due tendenze. Da un lato, si vede la realizzazione, sotto la pressione dall'esterno, di una sorta di società civile. Dei laici osano prendere la parola e interpellare i responsabili ecclesiali sulla gestione del problema. Da un altro lato, di fronte alla de-sacralizzazione dei grandi poteri istituzionali, di cui la chiesa soffre particolarmente, c'è una tentazione di rafforzare la cultura del segreto. Sulle questioni di sessualità, la chiesa porta avanti delle lotte all'esterno, il cui obiettivo è anche quello di far tacere le persone all'interno. L'omosessualità è un buon esempio. La lotta del Vaticano contro la teoria del genere e i suoi sbocchi politici locali, come la Manif per tutti, permettono sia di politicizzare i laici, che di mobilitare i fedeli e di far tacere i preti, in particolare i preti omosessuali, che però sono sovra rappresentati nel clero.

La chiesa può riformarsi su questi temi?

Tutti gli studi seri sui casi di pedocriminalità, negli Stati Uniti, in Australia o in Germania, sono stati fatti al di fuori dell'istituzione. La chiesa è talmente impantanata negli scandali che non può riuscirci da sola. Ha bisogno di quello sguardo critico esterno. Ma fa fatica ad accettarlo perché ha sviluppato una mentalità di fortezza assediata e di tendenza a vedere ogni critica come un'aggressione. La sfida della grande assemblea di oggi è anche quella di accettare di attuare dei contro-poteri completamente indipendenti dalla gerarchia. Una vera rivoluzione per una istituzione nella quale il papa e ogni vescovo, al proprio livello, detengono i poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Per lottare contro gli abusi, bisognerebbe che la chiesa adottasse una dissociazione dei poteri ed entrasse in una sorta di cultura democratica. È molto complicato per lei.

La proposta di una commissione d'inchiesta parlamentare è stata rifiutata in Francia. Come lo spiega?

La soluzione del conflitto tra la chiesa e lo stato in Francia in seguito allo choc della Rivoluzione è una sorta di allontanamento reciproco. La laicità, quando si inscrive nella legge del 1905, è una legge di compromesso. Senza dubbio la paura di riaprire la guerra delle due France ha influito su alcuni senatori, sia che fossero dei cattolici o che fossero "atei-devoti" come vengono chiamati, cioè persone non credenti ma impregnate di cultura cattolica. Fare una commissione che avesse come oggetto solo la chiesa equivaleva a riaprire quel vaso di Pandora. Vediamo che nei confronti dell'islam, religione minoritaria, lo Stato si permette di intervenire nelle questioni interne alla religione. Era sicuramente più difficile per il cattolicesimo, religione maggioritaria e fortemente presente nella cultura. C'era la paura di apparire anticlericale e di riaprire tutto l'immaginario legato a questo modo di pensare. Il rischio era anche quello di mobilitare contro il governo tutta quella frangia della popolazione che ha partecipato alla Manif per tutti, cioè persone per le quali qualsiasi progetto legislativo o politico lontano dalla loro convinzione che Francia e cultura cattolica siano consustanziali viene percepito come un attacco. Con il rischio che tornassero a protestare nelle piazze. Alla fine, è stata istituita una semplice commissione di informazione riguardante tutti i luoghi di istruzione ed educazione.

Il fatto che anche l'omosessualità fosse coperta nella chiesa ha avuto un ruolo nel mettere sotto silenzio le questioni di pedofilia?

Nei testi normativi del Vaticano sui preti, c'è un testo famoso che si intitola «Crimen sollicitationis» che si occupa ampiamente degli abusi sessuali dei preti in quanto preti. In quel testo, redatto nel 1922, pubblicato nel 1962, viene definito il crimine di sollecitazione che consiste nel deviare il sacramento della confessione per ottenere favori sessuali da parte del penitente. Ma quel testo precisa che sono assimilati a tale reato altre forme di reati sessuali detti "crimen pessimum", che sono elencati alla fine: l'omosessualità, la pedofilia e la zoofilia. Soprattutto, tutti e tre sono messi sullo stesso livello. Non si tratta di dire, come fanno persone di destra, che è la sovra rappresentazione degli omosessuali nel clero a spiegare gli abusi di pedofilia. Ma tutto questo rientra in una cultura della confusione e della paura e rafforza le pratiche del segreto attorno alle questioni di sessualità, il che oggi ricade negativamente sulla chiesa, in una società in cui il criterio della buona sessualità è il consenso tra individui. Non bisogna quindi vederci un rapporto diretto, ma si comprende che tutto questo vi contribuisce, e che tutti sono legati dal segreto. Gli uni hanno paura che gli altri rivelino qualcosa su di loro, e questo reciprocamente, anche quando alcune cose non sono dello stesso ordine agli occhi della legge e del modo di pensare secolare: come una relazione consenziente tra adulti dello stesso sesso e la pedocriminalità. È soprattutto per questo che si ha questa impressione, soprattutto dall'esterno, di una moltiplicazione delle dichiarazioni senza che nulla avvenga. Bisognava aspettare che la chiesa distinguesse tutto questo.

In mancanza di una riforma, la chiesa rischia di ridursi a una base sempre più settaria?

In Francia, e più in generale in Occidente, c'è il rischio di passare ad un modello settario in senso sociologico, cioè ad un raggruppamento di fedeli convinti ma in una maniera contro-culturale, anche radicale. Questo rischio è percepito dall'istituzione e c'è una tensione all'interno della chiesa in Francia tra questa logica di affinità e quella del mantenimento del progetto di civiltà parrocchiale aperta a tutti, con una vasta presenza territoriale. Questo rischio sembra abbastanza presente nei discorsi di papa Francesco. Ma la settarizzazione radicale del cattolicesimo non è una fatalità. Dipende molto dal contesto nazionale. Se si considera la reazione al progetto di legge del "matrimonio per tutti", ad esempio il contesto può avere effetti molto forti. In Portogallo, ad esempio, un paese più cattolico della Francia, le leggi sulle unioni delle stesso sesso sono passate molto più facilmente. Quando il Portogallo è uscito dalla dittatura, la chiesa cattolica ha stretto alleanze con il partito socialista. Ha quindi una tradizione di accettazione del consenso democratico, il che non le impedisce di essere una forza sociale. In Francia, al contrario, dagli anni 2000 il cattolicesimo stringe alleanze molto forti con la destra, una destra che cerca di ridefinire il suo software ideologico, e si assiste ad una sorta di strumentalizzazione reciproca, nel senso che il cattolico identitario impone posizioni politiche conservatrici alla destra e la destra strumentalizza il cattolicesimo come un valore politico, come tratto identitario della nazione.

IL RESCRITTO DI DISPENSA 


(24/09/21). Grazie ad un amico con il quale ci siamo incontrati per riflettere sul tema del celibato ho potuto avere un rescritto di dispensa fresco, fresco e firmato dal nuovo prefetto della congregazione del clero, l'arcivescovo Lazzaro Yu Heu Sik.

Da quando mi occupo di queste cose per dare una mano come sono capace a preti e donne che vogliono sposarsi ma vorrebbero capire come fare, se le cose vanno in porto mi permetto di chiedere - nel rispetto della riservatezza - notizie su come sono state le reazioni in diocesi, in famiglia, in parrocchia, il rapporto con il vescovo locale e come è andato il processo diocesano per la dimissione dallo stato clericale. È bello che, una volta ottenuta la dispensa, qualcuno mi telefoni per comunicarmelo. È bello non solo perché si condivide - anche se a distanza - una specie di fraternità sacerdotale che forse non si è sempre riusciti a vivere quando si era nel ministero attivo, ma è bello anche perché ci si scambiano opinioni ed idee che sono sempre fonte di reciproco arricchimento. Ieri è successo proprio così e, quando ho ricevuto il rescritto di dispensa gentilmente giratomi, ho fatto qualche riflessione che forse può servire a chi mi legge.

Anzitutto ricordo il motivo per cui la comunicazione di dispensa si chiama "rescritto". Da "retrum scriptum", scritto dietro. Una volta, si sa, la carta costava, anche perché non era carta, ma pelle di animale (la cartapecora, per esempio. Quando Carlo Magno impose la divulgazione della Bibbia alla corte di Aquisgrana furono macellate intere greggi per riuscire a confezionare 68 Bibbie!) e, pertanto, era bene non sprecare nulla. Le cancellerie papale, regie e vescovili redigevano le risposte ai quesiti dei sudditi sul retro della petizione stessa che veniva firmata e siglata con il sigillo papale o reale.

Il rescritto è in italiano. Non è una novità perché già verso la fine del pontificato di Giovanni Paolo II la dispensa veniva redatta nella lingua nazionale del postulante, ma fino ad allora era in latino (la mia - anno 1991 - è in latino).

Il punto n.1 con i commi a-b-c-d è assolutamente uguale. Si precisa che la dispensa ha effetto dal momento in cui viene notificata al richiedente, include dispensa dal celibato e perdita di ogni diritto clericale, se il richiedente è religioso è dispensato anche dai voti e, infine, il richiedente - se è incorso in qualche censura - è assolto anche da questa.

I punti n.2 e 3 sono rimasti invariati. In particolare rimane l'obbligo da parte della curia di notificare la dispensa alla parrocchia dove il richiedente è stato battezzato: è dovere del parroco annotare a margine del registro dei battezzati che Tizio, ordinato in sacris il giorno tale dell'anno talaltro, è stato dispensato dagli oneri sacerdotali. È successo che qualche parroco poco zelante non l'abbia fatto e si sia creato un problema quando venne richiesto il certificato di battesimo per poter contrarre matrimonio religioso.

Il punto n.4 riporta una novità in quanto fa riferimento al can. 1140 del Codice di Diritto Canonico che recita: Filii legitimati, ad effectus canonicos quod attinet, in omnibus aequiparantur legitimis, nisi aliud expresse iure cautum fuerit: i figli legittimati sono equiparati ai figli legittimi se non vi sono altri motivi di prudenza indicati dal diritto. Conosco solo un caso, vecchio di almeno 20 anni, in cui una coppia dovette istruire un altro processo per legittimare un figlio che aveva avuto mentre il padre esercitava ancora il ministero.

Il punto n.5 non è molto diverso dall'ultimo rescritto di dispensa che ho visto. È interessante anzitutto perché - come ho scritto commentando un rescritto precedente - non impone alla coppia di celebrare il matrimonio lontano dai luoghi dove il prete ha esercitato il ministero e senza clamori (a noi fu imposto di fare così), ma soprattutto prevede che il prete dispensato possa esercitare uffici ecclesiastici che non richiedano l'Ordine sacro. Prima non era così. In Italia c'è un presbitero sposato che è segretario di un vescovo.

Il resto è come l'ultimo rescritto commentato. Sintetizzo: si raccomanda che il chierico venga accolto nella comunità ecclesiale, si possono insegnare discipline teologiche in istituti inferiori che dipendono dall'autorità ecclesiastica, insegnare religione anche in istituti che non dipendono dall'autorità ecclesiastica, NON lo si può fare (punti nn 8 e 9) in istituti superiori, a meno che il Vescovo non ottenga una particolare dispensa dalle competenti congregazioni del clero e dell'educazione cattolica e rimane il divieto di coinvolgere il chierico nella formazione dei seminaristi e in istituti equivalenti (es. noviziati ecc.).

C'è una novità rispetto a prima e riguarda il tempo di rilascio della dispensa. Si ricorderà che Giovanni Paolo II, nella "Per litteras ad universos" esordiva affermando che, a causa dell'elevato numero di richiesta di dispensa, aveva dato disposizione di bloccare ogni istruzione della pratica. La congregazione, poi, aveva individuato un tempo di "decantazione" definito in cinque anni. Se in quel periodo di tempo il presbitero aveva mantenuto stabile la relazione coniugale, magari si era sposato civilmente, la coppia aveva avuto dei figli, ecc.ecc. si concedeva la dispensa. A me e mia moglie accadde così. Le cose cambiarono con Benedetto XVI che non continuò la tradizione di Giovanni Paolo II, ma riprese quella di Paolo VI che desiderava essere informato su ogni dispensa concessa nell'udienza che mensilmente concedeva al cardinale prefetto della congregazione e firmava personalmente ogni rescritto, oppure chiedeva di approfondire qualche punto dell'istruttoria che non gli sembrava ben condotto. I tempi si stendevano fra l'anno e mezzo e i due anni. Per quanto mi è dato sapere solo pochi casi venivano risolti in tre anni. Con papa Francesco i tempi sono al massimo sei mesi. Il rescritto che ho esaminato è stato risolto in quattro mesi.

Rimane l'ultimo punto che è ancora un "punctum dolens", l'istruttoria. Com'è noto essa si svolge presso il tribunale ecclesiastico diocesano (se trattasi di clero secolare) o istituto di vita consacrata (se trattasi di religioso). L'istruttoria non ha cambiato il suo impianto. Il vicario giudiziale diocesano sente il chierico interessato e poi, a sua discrezione e senza comunicarlo all'interessato, convoca chi vuole e sente chi vuole. Non solo: al richiedente non è dato conoscere le dichiarazioni del convocato. Infine, cioè "in cauda venenum": la moglie, la compagna, insomma... la persona con cui il richiedente ha deciso di vivere la vita non viene convocata, né sentita. La procedura processuale NON prevede di ascoltare l'unica persona per cui si è messo in piedi tutto il processo. Strano, no? Non voglio aprire una discettazione di tipo giuridico che riguarda la tutela dell'attore, anche perché entrerei in una questione di lana caprina, gioia somma per lo studioso del diritto, che distinguerebbe fra proponente e convocato: è il chierico che chiede e quindi si deve attenere alle procedure del tribunale, se fosse convocato dovrebbe chiedere tutele e garanzie. Potrei proseguire sul filo del diritto e della giurisprudenza, ma qui m'interessa sviluppare un altro concetto, quello della fraternità.

Ci troviamo a riflettere su un iter processuale anomalo, nato in tempi relativamente recenti, normato addirittura negli anni Venti del secolo scorso e mai revisionato neppure dopo la nuova edizione del Codice di Diritto Canonico. Stiamo riflettendo su un inter processuale che riguarda l'infrazione di una disposizione disciplinare stabilita dall'ordinamento giuridico della Chiesa cattolica di rito occidentale e, soprattutto, stiamo considerando che un fratello di fede è posto nella condizione di elemosinare un suo diritto naturale - il matrimonio - ad una istituzione che ogni giorno annuncia il messaggio di Gesù: "Voglio la misericordia e non il sacrificio" e "Nessuno sia più grande fra voi perché siete tutti fratelli", riflette sul monito di Paolo: "Meglio sposarsi che ardere". L'impianto processuale è freddo, distaccato, quasi anonimo, ancora segreto. Il presbitero che chiede la dispensa può sentirsi accolto come un fratello solo se l'atteggiamento dei suoi ex confratelli lo rassicura e lo fa sentire a proprio agio rendendolo partecipe di un iter necessario, anche se anodino. Altrimenti poco ci manca che si debba prostrare per ottenere un suo diritto. Forse è anche per questo che diversi presbiteri che lasciano il sacerdozio ministeriale attivo per contrarre matrimonio si contentano di legittimare la propria posizione all'ufficio di Stato Civile del Comune e qui si fermano. La coppia, comunque, continua la sua vita di fede e di testimonianza evangelica al di là di un rescritto. Anzi, senza sentire la necessità di un rescritto.

UN VESCOVO SI SPOSA? 


(09-09-2021). Xavier Novell, vescovo di Solsona (Catalogna, Spagna), si è dimesso il mese scorso dal servizio episcopale. La chiesa spagnola motiva le dimissioni "per ragioni personali", ma le notizie che si stanno rincorrendo sul web ci informano che avrebbe scelto di sposarsi. Nulla di sicuro: il vescovo non parla. Un twitter del sito religion digital riferisce: Hablamos con @BastanteJesus, redactor jefe de @ReligionDigit sobre la renuncia del obispo de Solsona: "Todo lo que estamos hablando son rumores de parte, Novell no ha hablado y hay un silencio por parte de la Iglesia, ese es el otro gran problema". Non traduco perché è chiaro.

Xavier Novell è giovane (è nato il 20 aprile 1969) ed è entrato in seminario dopo essersi laureato in ingegneria nel 1990. Nel 1995 si è laureato in teologia e nel 1997 (24 anni fa) è diventato prete della diocesi di cui è stato vescovo fino all'agosto scorso, nominato da Benedetto XVI il 3 novembre 2010.

Nella sua diocesi ha fondato la Scuola di formazione per laici che dal 2007 al 2010 è stata diretta da suo padre, insegnante e diacono permanente. A 41 anni di età era il vescovo più giovane della Spagna e l'ottavo del mondo. La sua fama di vescovo conservatore (contro Lgbt) e la sua azione pastorale in cui ha preso posizioni anche politiche, hanno fatto di lui un ecclesiastico molto noto in Spagna e, pertanto, la sua scelta di sposarsi con una donna separata che ha due figli e scrittrice di libri a sfondo erotico-satanico credo che abbia lasciato di stucco non poche persone. Sta già girando la voce che il vescovo stia cercando lavoro come agronomo. La sua compagna, Silvia Caballol, 38 anni, scrive libri i cui titoli descrivono inequivocabilmente l'argomento: "L'inferno della lussuria di Gabriel". Novell non rilascia interviste, né dichiarazioni. Si è limitato a dire: "Mi sono innamorato e voglio fare le cose nel modo giusto".

Non accade frequentemente che un vescovo lasci il ministero presbiterale per sposarsi, ma accade. L'ultimo in ordine di tempo, che io sappia, è stato il vescovo di Amburgo, preceduto qualche anno prima dal più celebre Milingo. Di vescovi sposati ne ho conosciuto solo uno, Jeronimo Podestà, argentino che sembra fosse in buoni rapporti con l'allora vescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio. Podestà si sposò ancora ai tempi di Paolo VI e, subito dopo di lui, fece notizia anche il matrimonio dell'americano James Patrick Shannon. Altri vescovi, però, sono stati cancellati dall'Annuario Pontificio per motivi di matrimonio: l'ausiliare di Los Angeles, Gabino Zavala, già padre di due figli; l'irlandese di Galway, Eamon Casey, il vescovo di Basilea, Hansjoerg Vogel, lo scozzese di Argill, Roderick Wright, il canadese di Gaspé, Raymond Dumais. Paulin Pomodino, africano, vescovo di Bangui, è stato fatto dimettere perché convivente e, poco dopo, il suo collega Yombandje si è dimesso perché non conviveva more uxorio, ma aveva legittimamente preso moglie.

Se la notizia del matrimonio del vescovo fosse vera, rifletto su un fatto sul quale non ho mai riflettuto. I vescovi che si sposano non solo spariscono - com'è ovvio - dall'Annuario Pontificio, ma diventano quasi irreperibili. Si direbbe che cambiano identità. In ogni caso non si danno la pena di impegnarsi per coinvolgere i loro colleghi rimasti nel ministero ed operanti nei dicasteri vaticani in una riflessione sul tema della facoltatività del celibato. Chiesi questa cosa anche a Milingo, con il quale fui in corrispondenza per un po' di tempo ed egli mi rispose con fumosi discorsi sulla sua nuova prelatura, ma non volle impegnarsi a contattare colleghi per fare un ragionamento un po' serio sul celibato del clero. Forse questi vescovi che si sposano non hanno voglia di impegnarsi semplicemente perché hanno maggiore esperienza di noi, preti sposati badilanti, che ancora crediamo alla fraternità non solo sacerdotale, ma cristiana più in generale.

I vescovi sposati, forse, sanno bene come vanno le cose dalle parti di San Pietro a Roma perché, per dovere d'ufficio, hanno frequentato le Congregazioni ed i Dicasteri e hanno percepito che anche lì - cioè nella sede in cui ogni giorno si dovrebbe sperimentare "quam bonum est et quam iucundum habitare fratres in unum" - tutto si riduce a conoscenze (per ottenere un favore) e ad atti amministrativi che siglano con un timbro e senza batter ciglio anche la dimissione dallo stato clericale di un vescovo, di un prete, un diacono, una suora. Del resto, quando Leonard Boff chiese la dispensa per sposarsi, girava voce che l'allora Segretario di Stato card. Sodano avesse detto: "Uno in più o uno in meno, non ci cambia nulla".

L'essere in compagnia di vescovi sposati non consola i molti preti sposati che continuano da soli e sempre più disarmati la battaglia per il celibato facoltativo, ma - soprattutto - non smuove di un millimetro le posizioni delle competenti congregazioni romane che rimangono sorde a richieste di incontri finalizzati ad aprire un dialogo che, tenendo conto delle esperienze di preti e vescovi che hanno lasciato il ministero e formato una famiglia, possono aiutare l'Ecclesia ad avere un quadro più preciso della situazione che sta diventando sempre più confusa.

Per non farla lunga, butto giù solo qualche argomento "ad favendum".

L'Anglicanorum coetibus di Benedetto XVI comincia a sollevare qualche domanda in seno alla comunità cattolica perché se in Italia non è ancora costituito alcun ordinariato, vi sono, tuttavia, preti cattolici sposati (ex anglicani) che esercitano il ministero per gruppi cattolici sorti spontaneamente.

In molte diocesi italiane diverse chiese, non più fruite direttamente dai fedeli a causa della crescente scarsità del clero celibe e della progressiva carenza di fedeli imputabile ad una pastorale ancora finalizzata alla mera sacramentalizzazione che nell'immaginario collettivo ha ormai assunto più il significato di rito di passaggio sociale piuttosto che di reale "segno della Grazia per la santificazione", si celebrano liturgie ortodosse, cattoliche di rito orientale, episcopaliane ecc. dove il celebrante è spesso un prete sposato. Anche questo pone interrogativi al cattolico che, vista aperta la chiesa che solitamente è chiusa, vi entra e s'informa su quanto sta avvenendo.

La chiesa vetero cattolica (quella di Utrecht, per intenderci) è attiva in Italia in diverse regioni ed i fedeli si radunano attorno a presbiteri e (udite, udite!) presbitere.

La medesima cosa si deve dire della Inclusive Anglican Episcopal Church operante in Italia addirittura con una vescova.

Potrei continuare nell'elenco, ma mi fermo citando la Chiesa Cristiana Antica Cattolica e Apostolica in Italia che ha al suo attivo preti sposati che animano comunità presenti in diverse regioni d'Italia.

Ho elencato una serie di comunità cristiane presenti in Italia dove ci sono preti e vescovi/e sposati a cui aggiungere le diocesi di Lungro, Piana degli Albanesi, l'abbazia di san Nilo a Grottaferrata.

Ma non basta. Una riflessione andrebbe fatta sulla sensibilità del cattolico tradizionale, quello che frequenta più o meno assiduamente la parrocchia. Sono in molti a capire sempre di meno il prete celibe. Accettano, ma non capiscono.

Mi sarebbe piaciuto leggere qualcosa in merito nel documento del Sinodo che presto sarà ufficialmente inaugurato, ma forse rimango ancora inguaribilmente ingenuo ed ottimista.

CELIBATO E SEMINARIO 


(12-08-2021). Su "Vino Nuovo" (blog che spesso ospita riflessioni interessanti) Gilberto Borghi ha scritto due articoli sull'abolizione del seminario come luogo ancora ritenuto fondamentale per la preparazione dei futuri presbiteri. I due articoli sono ben argomentati ed hanno suscitato un dibattito ragionato e ricco di spunti che, a mio avviso, dovrebbero essere considerati da chi ha responsabilità pastorali. Sulla base delle riflessioni proposte da Gilberto Borghi mi permetto di estrapolare alcune affermazioni per arricchire questa parte del mio blog.

"La necessità di mettere le mani nei seminari non nasce appena da problemi di distorsione sessuale dei preti, che semmai sono un effetto e non una causa, ma è molto più antica". Condivido. I problemi che riguardano la vita sessuale del clero (ma qui mi allargherei anche al mondo dei monaci e delle monache) sono effetto di una concezione teologica del sacro che sta alla base di molte religioni (non solo quella cattolica) che ritengono la vita sessuale qualcosa di sgradito alla divinità, che la divinità accetta per la perpetuazione della specie o, peggio, come "remedium concupiscientiae". Il falso sta alla radice della teologia (e quindi della spiritualità, della pastorale, della morale...) che motiva ed argomenta la religione specifica (cattolica, musulmana...) ed è stupefacente che non si voglia accorgersene, anche se il mio pensiero è che ce se ne sia accorti da lunga pezza, ma che non si voglia riflettere profondamente su una branchia della teologia perché questo comporterebbe fatalmente la revisione di una morale e di una legge (quella celibataria) che molti pastori pensano che produce più danni che benefici, soprattutto perché non hanno il coraggio di introdurre gradualmente sperimentazioni monitorate che non solo avrebbero il merito di iniziare ad affrontare concretamente il problema, ma aiuterebbero a perfezionare il percorso pastorale a favore del principio di fondo che è l'anima di ogni annuncio evangelico: la salvezza.

"...la società europea ha iniziato a cambiare profondamente volto e condizione economica e i seminari si sono improvvisamente quasi svuotati. Da lì in poi, il seminario è sempre meno riconosciuto socialmente, ma continua ad esserlo ecclesialmente. Ma dopo la metà degli anni '80, la Chiesa perde gradualmente il suo ruolo di riferimento unico sul piano del senso della vita e la società inizia a cambiare drasticamente e velocemente". Su questo punto sono meno d'accordo. È vero che la società è profondamente cambiata e, in conseguenza di questo, anche il luogo seminario è andato perdendo valenza sociale, ma penso che i seminari si siano svuotati perché come credenti abbiamo vissuto di rendita. Sarebbe facile girare il problema alle guide delle varie comunità cristiane (cattolica, protestante, anglicana, ortodossa con tutti i loro derivati), ma sarebbe solo un modo per tacitarsi la coscienza. Da tempo, prima ancora della rivoluzione degli anni Sessanta del secolo scorso, abbiamo smesso di essere lievito nella pasta e sale che dà sapore. E quando scrivo "abbiamo" intendo proprio la prima persona plurale: tutto il popolo di Dio ha smesso di ascoltare l'esortazione di Gesù di essere lievito e sale. Reciprocamente spalleggiandoci con il potere politico del momento, abbiamo inoculato un narcotico che ha funzionato salvando i cavoli del potere e la capra dello spirito perché abbiamo derubricato la sacramentalizzazione a rito di passaggio sociale dove, alla fine, tutti sono contenti perché danno a Dio quel poco che Dio chiede ed a Cesare quel che Cesare vuole. L'errore, questo sì, che hanno fatto i Pastori è stato quello di non prevedere l'evoluzione sociale, nonostante avvisi e messaggi ben chiari venissero anche dalla comunità cristiana - e cattolica in particolare - negli immediati anni postconciliari. Già nel Manifesto dei 33 teologi si denuncia il fatto che "...la chiesa è rimasta in ritardo con la propria missione", ma anche un appello così autorevole è stato ritenuto da Roma come l'uzzola di qualche soggetto voglioso di protagonismo (fra i 33 teologi vi era anche un teologo che diverrà cardinale, W. Kaspers).

"...i futuri preti sono educati alla diversità e alla separatezza rispetto ai fedeli comuni, e soprattutto a pensarsi come guide (spesso: un uomo solo al comando), perciò in un livello di potere più alto di quello dei fedeli. Questo è, di fatto, la consegna del potere della comunità di fede tutto nelle mani del prete, che è alla base del dramma attuale del clericalismo e dell'insignificanza dei laici". Vero. Mi permetto, però, di azzardare che a molti laici, tuttora, sta bene così. Sta bene che sia il prete a mandare avanti la parrocchia a tutti i livelli. Tuttora si preferisce essere al servizio del prete, piuttosto che collaboratori perché anche nel terzo millennio è abbastanza prestigioso presso la comunità essere ritenuti stretti collaboratori del parroco. Il clericalismo esiste, ma non solo nel clero. Spesso il clero è aiutato a rimanere clericale e chi cerca di smarcarsi, si trova solo. So benissimo che citare una sola esperienza non fa testo, ma la cito perché è un'esperienza che ho vissuto in prima persona e che mi ha fatto riflettere molto. Tre anni fa un giovane prete ligure prese contatto con me perché desiderava un colloquio. Immaginavo che si trattasse di faccende sentimentali, di crisi dovuta al fatto di aver incontrato una ragazza ecc. Mi chiese di vederci di persona e, durante il colloquio, capii che il suo problema non era quello solito per cui un prete o una donna mi contattano. Il suo problema era che - dovendo accudire a sette parrocchie - aveva cercato di creare comunità di laici responsabili. Ricordo ancora quasi letteralmente la sua domanda: "Ha presente quando gli apostoli elessero sette diaconi perché essi ritenevano che la loro missione fosse quella di pregare e predicare? Bene. Anch'io ho cercato di valorizzare le persone non solo per la parte amministrativa, ma anche per la catechesi, la vicinanza a chi ha bisogno... Non ci sono riuscito. E non voglio continuare a fare il prete occupandomi di cose materiali, salvando il salvabile con battesimi, matrimoni, funerali e feste parrocchiali".

La comunità locale deve tornare ad essere punto di riferimento se si vuole rendere autentica la propria fede evangelica e il compito è certamente dei Pastori, ma non solo. Nel già citato manifesto, i 33 teologi ricordano che "Le esigenze dell'evangelo e i bisogni e speranze del nostro tempo sono, in numerosi casi, così evidenti che tacere per opportunismo, noncuranza o superficialità non sarebbe che la ripetizione storica del silenzio colpevole di numerosi responsabili della chiesa al tempo della riforma".

CERCASI PRIORITA' 


(28-05-2021). Sembra che il presidente della C.E.I., interrogato se fra gli argomenti da annoverare fra quelli della preparazione del Sinodo vi siano anche l'ordinazione presbiterale delle donne e la facoltatività del celibato del clero, abbia risposto che tali argomenti non sono considerati priorità. In attesa di conoscere quali sono le priorità che l'assemblea dei Pastori italiani individua come argomenti emergenti sui quali riflettere per l'evangelizzazione del futuro, penso che si debba riflettere sul presente. Un presente che non mi sembra particolarmente entusiasmante.

Solo en passant ricordo che il papa, indicendo il Sinodo, ha auspicato?, caldeggiato?, insistito?, proposto?... che fosse coinvolta la base. Non ha indicato cosa intenda per "base", ma una cosa appare chiara: non nasca qualcosa calato dall'alto che poi sfocia in un documento che lascia tutti soddisfatti e rimane al solito livello di grida manzoniana. Sempre en passant spero che coinvolgere la base, per i vescovi italiani, significherà coinvolgere non solo soggetti osservanti e baciapile, gente celebre, atei illustri, famosi intellettuali critici. Ci sono realtà come Noi siamo chiesa, le comunità di base, movimenti ecclesiali di rinnovamento, credenti che non sono iscritti a nessuna organizzazione, ma potrebbero dare un significativo contributo alla preparazione di un Sinodo che sembra presentarsi come vera occasione per un nuovo modo di fare pastorale.

M'interessa tornare sull'argomento del celibato del clero e dell'ordinazione presbiterale femminile che, al dire di Bassetti, non sono da considerarsi priorità. Ha ragione il presidente della C.E.I. Presbiteri e presbitere sposati/e non sono un'emergenza, un problema da risolvere e quindi da discutere, semplicemente perché un simile problema non dovrebbe neppure esistere e neanche essere considerato tale. Il popolo di Dio che 2000 anni fa muoveva i primi passi nella Palestina romana e da questa partiva sentendo l'urgenza di annunciare la Buona Novella ai popoli vicini fino a raggiungere la capitale dell'impero, non si poneva il problema se l'apostolo Pietro fosse sposato e Paolo fosse celibe (non è dichiarato che fosse vergine) o se una discendente di Eva sposata e con figli svolgesse funzioni di "diaconìa" all'interno della comunità che - attesa la mentalità piuttosto misogina dei tempi - non prevedeva ruoli dirigenziali alle femmine, considerandole sostanzialmente delle incapaci.

Il celibato del presbitero che continua ad essere considerato consustanziale al sacramento dell'ordine e la messa al bando della femmina da ogni ruolo ecclesiale che attenga il servizio della Parola e dell'Eucaristia non sono una priorità. Rischiano di diventarlo se il popolo di Dio pensa che facendo sposare i preti ed ordinando le donne la Chiesa riprende forza ridiventando quello che è nell'immaginario di tutti: una Chiesa che è il centro della vita di una comunità sociale perché tutti sono battezzati, cresimati e riempiono l'edificio di culto a Natale, Pasqua, un po' a Pentecoste e tantissimo alla festa del Patrono; una Chiesa che conta, in cui riconoscersi e sentirsi importanti perché se si è stimati dal parroco, si aprono diverse porte; una Chiesa che fa della famiglia dove c'è un figlio che si fa prete o una figlia che si fa suora, una delle famiglia più stimate del paese.

Celibato facoltativo del clero e presbiterato femminile non sono i primi argomenti da discutere. Essi verranno solo come conseguenza naturale di un profondo rinnovamento del modo di evangelizzare che non si fonda più sull'evangelizzazione obbligatoria funzionale ad una sacramentalizzazione, tuttora considerata come rito di passaggio sanzionante i vari stadi d'ingresso nella società e non ciò che veramente deve significare: appartenenza ad una comunità che non sente per nulla l'esigenza di essere ufficialmente riconosciuta dall'ente pubblico, dal potere, dal "mondo" perché sa di essere nel mondo, ma di non appartenervi.

Una buona signora, credente, praticante, ex catechista, insegnante in pensione, impegnata nel volontariato, cattolico fino al midollo secondo la prassi consolidata da decenni in cui tutti noi siamo cresciuti mi diceva che un prete che conosco rispondeva alle sue perplessità sulla perdita della fede del mondo contemporaneo dicendo che la chiesa sta vegetando cercando di salvare il salvabile. Lei ed il prete sono in buona fede. Conoscendo entrambi so che non potranno mai pensare di sconsigliare di battezzare un bambino ad una coppia che convive e di non celebrare il sacramento del matrimonio se poi prevedono di continuare a vivere la loro vita "come se Dio non fusse", per dirla con Dante. Essi, sconsolati, osservano le chiese che si chiudono; le poche messe sempre frequentate dai soliti noti un po' su d'età; i preti che devono saltare da una parrocchia all'altra per tenere la trincea che ogni giorno appare più sguarnita; i conventi che si riconvertono in resort; le continue concessioni che sembrano cedimenti alla mentalità del mondo (la cremazione, il magro ed il digiuno; la comunione ai divorziati risposati...) e si consolano ripetendosi retoricamente la domanda che si pose Gesù: "Il Figlio dell'Uomo, quando tornerà, troverà ancora fede sulla terra"? In assoluta buonafede, lei ed il prete pensano che la fede che Cristo dubita di trovare si chiami rito, tradizione, precetti, insomma... sicurezze quaggiù che danno certezze per lassù. In altrettanta assoluta buonafede, altri pensano che riti, tradizioni, precetti... siano da confezionare in un bel pacco da spedire in discarica fra i rifiuti tossici e nocivi.

Non so se il Sinodo italiano inizierà con il canto "Veni sancte Spiritus" che si conclude pregando lo Spirito Santo: "da tuis fedelibus, in te confidentibus, sacrum septenarium" (dona ai tuoi fedeli che confidano in te i sette doni santi). Il "sacrum septenarium" sono i doni che la tradizione spirituale millenaria della Chiesa ha individuato in: Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietà e Timor di Dio. Occorrono tutti, se si intende riflettere su come essere Chiesa. La Scienza aiuta ad individuare i problemi e l'Intelletto a capirli, la Sapienza ed il Consiglio a non buttare via il bambino con l'acqua sporca, la Fortezza è il coraggio per compiere scelte che possono significare rottura e il Timor di Dio è l'atteggiamento di umiltà che mette tutti (vescovi, teologi, gerarchie varie) sullo stesso piano: siamo un popolo in cammino che cerca in Lui la guida. Nessuno ha la verità preconfezionata in tasca, tutti hanno il dovere di ascoltarsi, capirsi, riflettere su come essere testimoni del Vangelo in una società dove la tecnocrazia ha scalzato la teologia; la dea Ragione irride il Dio di Cristo; il panteon degli dei del consumismo, del denaro, del successo, dello sfruttamento del Pianeta, delle nuove schiavitù è diventato il nuovo tempio globale.

Celibato facoltativo del clero e presbiterato femminile saranno la naturale conseguenza di un annuncio della Buona Novella che prima di normare la vita di un credente si preoccupa di capire un annuncio che ha sconvolto il mondo di allora ed al quale ben presto è stata messa la sordina confinandolo nei templi sempre più sontuosi e magnifici per giustificare la dicotomia fra fede e vita. Quell'annuncio è ancora vivo, ma rimane ancora nel tempio che, purtroppo, è sempre più vuoto. È la Buona Novella che dice che è ricco chi è povero; che chi pratica la misericordia, la ritrova; che è padrone colui che serve, ecc. ecc. ecc. Che m'importa se quest'annuncio viene portato da un maschio o da una femmina con moglie o marito e figli se essi non solo lo predicano dal pulpito, ma lo vivono nella vita? Fa differenza se un bambino o un adulto vengono accolti nella comunità con il Battesimo celebrato da un maschio celibe in cotta e stola o da una persona (sposata o no) che, a nome della comunità (che temo sarà sempre più un "piccolo gregge"), accoglie un nuovo membro che ha voglia di essere un piccolo seme del Nuovo Messaggio?

EROISMO? LIBERTA'? 


(17-04-2021). Sono un po' allergico al tamburo mediatico e, per questo motivo, non ho seguito quasi per nulla la cronaca grigiorosa di Riccardo Ceccobelli, parroco di Massa Martana (diocesi di Orvieto-Todi) che ha annunciato il proprio matrimonio.

Ceccobelli è uno dei tanti che lasciano il ministero per contrarre matrimonio. Lo scorso anno successe almeno a cinque preti (saranno stati di più, ma io conosco solo questi cinque) che non hanno ritenuto opportuno dare eco mediatica alla cosa. Per vergona? No, solo scelta personale di vivere una vita diversa. Del resto non tutte le persone che cambiano vita lo rendono noto al mondo intero e si concedono ai cronisti assetati di notizie piccanti.

Della vicenda di Ceccobelli ho appreso che il vescovo diocesano ha accompagnato il presbitero nel suo percorso di discernimento e ha dichiarato di rispettare l'irrevocabilità della scelta. Ma subito dopo ho letto che il vescovo ha rilasciato dichiarazioni che appaiono contradditorie a quanto prima dichiarato. Roba del tipo: lancio il sasso, ma nascondo la mano; ti getto la corda, ma è troppo corta; ho detto, ma preciso che... e mi sono dato la pena di spulciare cronache vaganti in rete.

Concludo: storie normali in pettegolezzi normali per casi non più tanto anormali come quello di un presbitero che lascia il ministero non per ragioni di perdita della fede o sfiducia nel messaggio di Cristo, ma semplicemente perché gli succede una cosa normale: si innamora e pensa di sposarsi. Dirò che Ceccobelli s'è lasciato prendere un po' la mano dai giornalisti che l'hanno trasformato in eroe e che il vescovo ha avuto ragione nel dichiarare che Ceccobelli non è un eroe. Riporto la dichiarazione del vescovo che ha ragione, ma non del tutto.

"Rispetto sì, ma parlare di eroismo è fuori luogo. La Chiesa chiede ai preti di vivere il celibato con maturità, letizia e dedizione, quale testimonianza del primato del Regno di Dio e, soprattutto, come segno e condizione di una vita pienamente donata: senza misura. Si diventa preti dopo almeno sette anni di discernimento e, attualmente, sempre più in età adulta, quando si ha maggiore coscienza e capacità di fare scelte definitive. Così è stato anche per don Riccardo, il quale, dopo un itinerario formativo durato almeno sette anni, ne aveva 33 quando è stato ordinato presbitero. Una delle affermazioni che, in questa circostanza, va per la maggiore è la seguente: "Al cuore non si comanda". Tale opinione è indice di quanto, in un tempo segnato dal relativismo, la ragione sia sottoposta al dominio del sentimento. Si è parlato di eroismo davanti ad un prete che decide di mollare tutto perché si è innamorato di una ragazza; certamente occorre rispetto per la libertà di chi, pur avendo promesso solennemente di consacrare tutto se stesso a Cristo Gesù per il servizio alla Chiesa, non ce la fa, ma parlare di eroismo risulta davvero fuori luogo. Gli eroi sono quelli che rimangono in trincea anche quando infuria la battaglia, come, ad esempio, i mariti e le mogli o i padri e le madri che non mollano nei momenti di difficoltà, perché si sono presi un impegno e l'amore li inchioda anche nel tempo in cui i sentimenti sembrano vacillare; come i sacerdoti che, senza limiti di disponibilità e con cuore libero e ardente, vivono la fedeltà di una dedizione totale".

Dal rito dell'ordinazione al diaconato: "Tu che sei pronto a vivere nel celibato: vuoi, in segno della tua totale dedizione a Cristo Signore custodire per sempre questo impegno per il regno dei cieli a servizio di Dio e degli uomini"?

Dal rito dell'ordinazione al presbiterato: "Vuoi essere sempre più strettamente unito a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, consacrando te stesso a Dio insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini"?

Primo errore del vescovo che dichiara che la Chiesa chiede di vivere il celibato con maturità, letizia e dedizione, dimenticando quanto lui stesso chiede ai giovani che ordina diaconi e presbiteri. Ai diaconi chiede di custodire per sempre l'impegno del celibato e ai presbiteri di unirsi a Cristo come vittima. Saranno persone mature, ma a loro non viene chiesto di dedicarsi lietamente al divieto dell'esercizio della propria sessualità che, invece, viene imposto, ben sapendo che è un sacrificio, come quello di Cristo che si offerse come vittima al Padre. I Vangeli canonici non ci dicono che Gesù fosse celibe: di sicuro non ci parlano di moglie e figli ai piedi della croce. Gli stessi Vangeli, però, riferiscono che Gesù non scelse fra i suoi collaboratori (anche collaboratrici?) solo persone rigorosamente celibi, né precisano che dovevano promettere di vivere il celibato con maturità, letizia e dedizione.

Secondo errore episcopale. La chiesa chiede di fare scelte definitive. Vero. Ma essa stessa, chiedendolo, sa che non sono impegnative per la vita. Il celibato richiesto al clero è una promessa, non un voto. La distinzione è sottile perché si tratta di addentrarsi nei meandri del diritto canonico e della morale cattolica. Per semplificare dirò che il voto viene considerato di istituzione divina, la promessa è un'istituzione ecclesiastica. Chi si "vota" professando di vivere la vita in povertà, castità, obbedienza, prende un impegno direttamente con Dio; chi "promette", prende impegno con l'istituzione ecclesiastica che - per tornare a quanto dichiara il vescovo - chiede al candidato diacono e prete di fare la scelta definitiva del celibato, ma sa che potrebbe non mantenerla e, per questo, la stessa istituzione ecclesiastica ha previsto la dispensa dagli oneri sacerdotali su richiesta dello stesso o la dimissione dallo status clericalis sia su richiesta del diacono o del presbitero che per punizione.

La ragione è sottomessa al sentimento a causa del relativismo, sostiene il vescovo in modo che non ammette repliche. È una sua opinione. Legittima, ma non per questo assolutamente vera. Quante volte la chiesa (non la Chiesa) si è arrogata il diritto di sottomettere la ragione al sentimento? Se lo fa lei, va bene; se lo fanno altri, è sbagliato? Senza entrare nei dettagli ricordo quanto Bakunin scrive in "Dio e lo Stato": "Dio appare e l'uomo si annienta e più la divinità diventa grande, più l'umanità diventa miserabile. Nella storia il nome di Dio è la terribile clava con cui gli uomini diversamente ispirati hanno abbattuto la libertà, la dignità, la ragione, la prosperità degli uomini".

Il massimo di sé, però, il vescovo lo dà quando chiama eroi mariti e mogli, padri e madri che non mollano nelle difficoltà. Buona retorica, ma senza fondamento sostanziale. Siamo sempre nel campo della teologia, del diritto e della morale cattolici che fanno differenza fra indissolubilità matrimoniale e promessa di celibato. Il sacramento dell'ordine, per i cattolici, contempla l'obbligatorietà del celibato per il clero occidentale e la facoltatività per quello orientale. È sempre lo stesso sacramento, ma con "sfumature" diverse. E chiamale sfumature!

Al di là di disquisizioni teologiche, dogmatiche, morali e giuridiche, difendere comunque e ad oltranza l'obbligatorietà della lex celibataria è anacronistico, superfluo e ridicolo. Anacronistico perché i tempi sono maturi non solo per rendere facoltativa la legge in quanto in altri "mondi" che gravitano nell'orbita cattolica è già pratica corrente. Non si dimentichi che il custode della fede per eccellenza, il "terribile" e vituperato Ratzinger firmò l'Anglicanorum Coetibus che consente al clero anglicano che si converte al cattolicesimo di continuare l'esercizio del ministero rimanendo sposato. Superfluo perché il concetto di "ministero sacerdotale" è sotto pressione di revisione da molto tempo. Se n'è accorto persino il prefetto della Congregazione per i Vescovi che ha annunciato un Simposio teologico internazionale dal titolo "Per una teologia fondamentale del sacerdozio" (si terrà a Roma dal 17 al 19 febbraio 2022). Ridicolo perché chi s'arrampica sui vetri per difendere l'indifendibile fa la figura dell'ultimo giapponese che - rimasto sull'isola - non sapeva che la guerra era finita, il Giappone aveva perso, la pace era stata siglata e, quindi, continuava a mitragliare.

La scelta di Riccardo Ceccobelli non è eroica. Nessuno di noi che ha lasciato il ministero per contrarre matrimonio si è mai sentito un eroe, ma solo un credente che ha scelto di abbracciare l'ideale evangelico annunciato da Cristo, servirlo nell'esercizio del ministero presbiterale accettando anche il celibato, continuare ad esercitare il ministero dell'annuncio anche quando - scoperto l'amore per la persona che è diventata compagna di vita formando una famiglia - è stato obbligato a lasciare l'istituzione con tutte le sue sicurezze ed i suoi orpelli ed a vivere una quotidianità che è la stessa che vivono migliaia e migliaia di credenti nel messaggio cristiano.

Non è eroismo. È libertà.

La libertà di chi cerca la verità, senza accettarla acriticamente, verificando dogmi e precetti considerati intoccabili, indiscutibili, apodittici ("... la Verità vi farà liberi"); la libertà di chi si confronta con chi si propone di essere "Via, Verità e Vita" per chi crede nel suo Vangelo; la libertà di chi non rinnega nulla del proprio percorso umano, non si vergogna di nulla, non rimpiange nulla e nulla rivendica, ma si limita a continuare ad essere "diversamente cattolico" in atteggiamento di collaborazione e non di sottomissione.

CHE NE SAI DI UN PRETE? 


(01-04-2021). Negli anni Ottanta succedeva di leggere sui muri la scritta "cloro al clero" e a molti sembrava offensiva non solo perché mancava di rispetto ad una categoria di persone che di cui se si sapeva di non doverne parlare più che bene, sarebbe stato meglio tacere, ma anche perché il clero era una componente fondamentale della vita di tutti. Pochissimi - ma davvero pochissimi - avrebbero potuto dire che nessun prete fosse entrato nella propria vita perché almeno per il Battesimo, la prima comunione e la Cresima tutti hanno avuto a che fare con un prete.

Ma... la gran parte della gente... che ne sa di un prete? La gente devota e il popolo miscredente e mangiapreti, che cosa sa di un prete, della sua vita, della sua storia, del motivo per cui quell'uomo ha scelto di fare il prete... La maggior parte della gente non sa che oggi - giovedì precedente la domenica di Pasqua - i preti che sono rimasti festeggiano il loro essere preti. È il loro giorno. Una volta all'anno, il Giovedì Santo, i preti cattolici si danno appuntamento nella chiesa cattedrale della diocesi e celebrano l'Eucaristia con il loro vescovo. In quella celebrazione rinnovano le promesse fatte il giorno in cui ricevettero il sacramento dell'Ordine e partecipano alla benedizione e consacrazione degli Oli che si usano per le celebrazioni dei sacramenti del Battesimo, della Confermazione, dell'Unzione dei malati.

Sì, oggi - per pochi addetti ai lavori - è giorno di festa per i preti cattolici. Si ritroveranno, sempre di meno, sempre più vecchi, per riconoscersi, rinfrancarsi, ritrovare un senso nella loro missione pastorale che sembra molto diversa da quando 20-30-40-50 e forse più anni fa scelsero di rispondere alla vocazione: "Mi hai chiamato? Eccomi!"

La gente non sa quasi nulla di un prete. I devoti lo venerano, gli educati lo rispettano, i miscredenti l'ignorano. I più gli stracciano addosso le vesti se si sposa, se ruba, se fa la bella vita, se non è casto come dovrebbe. I benpensanti perbenisti e gli amanti della religione in pantofole guardano di traverso il prete che sta con i senzatetto, che lotta contro la mafia, che si occupa di tossici, di prostitute, di operai, di diritti vessati, di perdigiorno, di immigrati salvo, poi, essere in prima fila a manifestare la costernazione più ipocrita se quel prete perde la vita, ucciso da qualche misero che stava aiutando.

Victor Hugo, nel suo "Novantatré", racconta di un prete che aveva abbandonato la causa di Cristo per darsi anima e corpo a quella della Rivoluzione. Prete Cimourdain si ucciderà e non si sa se quel suo gesto è suprema immolazione della vita per un ideale (la Rivoluzione) a cui s'è donato e che l'ha deluso o accomunarsi nel destino del suo allievo che lui stesso ha fatto condannare a morte. La gente, anche allora, non sapeva nulla del prete, neppure di Cimourdain che per i realisti era un rinnegato, per i rivoluzionari uno che credeva nella Rivoluzione e non più in Dio. Così Hugo: "Prete per orgoglio, per caso o grandezza d'animo, aveva rispettato i voti; non era però riuscito a conservare la fede. La scienza gliel'aveva demolita; in lui il dogma era svanito. Vietatagli la famiglia, aveva adottato la patria; rifiutatagli una moglie, aveva sposato l'umanità. Tanta immensa pienezza è, in fin dei conti, il vuoto".

Cloro al clero? E perché? Il clero non è solo pedofilia nascosta sotto il tappeto, figli che non sapranno mai che il loro padre è un prete, monsignori che fanno vita da nababbi e cardinali che si mascherano con lunghi codazzi e pendagli al collo. Quel clero c'è e fa danno come il classico albero che cade. Ma c'è un clero che è foresta che cresce silenziosamente. È il prete della parrocchia che adesso si trova a capo di unità pastorali e che corre come un saltamartino da una parrocchia all'altra stanco di essere un funzionario di Dio, ma convinto che solo in quel modo può tener vivo il lucignolo fumigante.

Ci sono ancora preti che sono preti e potrebbero continuare ad esserlo.

SE NE VANNO...ALTRI PRETI SE NE VANNO... 


(23-11-2020). Quattro preti italiani, in quattro diverse regioni d'Italia, con la fine di quest'anno chiuderanno la loro esperienza ministeriale: due convoleranno a nozze, uno forse, uno sicuramente no. Un altro prete che si è sposato da qualche anno, invece, sta pensando di chiudere l'esperienza matrimoniale. È una notizia come altre, che non credo avrà particolare riscontro mediatico perché con questi preti ho avuto un rapporto personale da qualche anno e so che non tengono al chiasso, ma alla sostanza. Hanno fatto le cose con calma. Penso che se ne andranno silenziosamente, in buoni rapporti con la propria diocesi ed il proprio vescovo. Si sono già organizzati per trovarsi un lavoro in modo da non rimanere con il sedere per terra perché la chiesa cattolica sarà Mater et Magistra, ma sa anche essere Mater et Matrigna.

La notizia può essere molto sinteticamente completata dicendo che tutti se ne vanno per amore, ma anche perché l'istituzione non dice loro più nulla da molto tempo. Hanno un'età che va dai 32 ai 50 anni e vivono da molto tempo con sofferenza interiore una missione che provoca lacerazione d'animo in quanto amano, ma vorrebbero che quest'amore potesse essere vissuto alla luce del sole; vivono con fatica un ministero più da funzionari di Dio che da credenti che annunciano con gioia un mistero; sentono che la diocesi in cui vivono è paga di mantenere lo status quo senza spinte propulsive verso una pastorale più vicina alle esigenze del popolo di Dio che rimane popolo solo perché iscritto all'anagrafe parrocchiale.

Il più giovane, per adesso, non ha qualche storia con una ragazza del posto, ma molla perché corre come un saltamartino fra sette parrocchie dovendosi preoccupare di bollette da pagare, di portoni della chiesa da sistemare, di feste patronali che non riesce ad accorpare. Ho provato a dirgli di delegare ai laici e mi ha risposto che i laici sono ben disposti, collaborano, ma poi se la prendono male se questo mese dà i soldi a Tizio per pagare la bolletta e il mese prossimo li dà a Caia.

C'è un altro prete che vive la propria omosessualità come un peccato, da quando si è scoperto tale. Non ha un amico, non ha rapporti, non appartiene al giro sconcio che ogni tanto emerge quando qualche giornalista s'intrufola nei circoli gay non solo della capitale. Si sente omosessuale e gli pesa tantissimo. Ma tira avanti. Se non ricordo male non ha ancora 40 anni.

Perché butto giù - un po' currenti calamo - queste righe?

Perché oggi ho trovato sulla pagina Facebook "Cronache ecclesiali"- che riporta la rassegna stampa di quanto si dice sulla chiesa cattolica - che si commentano i dati dell'Annuario Statistico della Chiesa cattolica con le interpretazioni che ne danno i vari commentatori. Alcuni di questi commentatori non nascondono la propria soddisfazione quando annotano che il calo delle vocazioni continua, l'emorragia del clero non accenna a calare, i preti sono sempre di meno perché ne muoiono di più di quanti se ne ordinano e così dicasi per religiosi e religiose (solo i diaconi permanenti sono in aumento vertiginoso e un poco anche i vescovi) sta avvenendo proprio nei cinque anni in cui il servizio petrino è affidato a papa Francesco. Come dire: visto? Le cose vanno peggio di prima.

Balle. Scusate l'espressione che non appartiene al mio linguaggio, ma "quanno ce vò, ce vò", direbbero a Roma. Balle perché il papa non c'entra, se non per un solo motivo: non ha ancora preso in mano la situazione del mondo presbiterale nonostante abbia detto che il problema del celibato del clero è nella sua agenda, abbia visitato sette famiglie di preti sposati nell'ultimo venerdì della misericordia, abbia ricevuto in udienza qualche prete sposato (a me risulta uno della diocesi di Lione, un altro di una diocesi sudamericana e un tedesco), non risponda alle sollecitazioni che gli sono pervenute anche per lettera da una trentina di donne che amano un prete e che per un mese hanno scritto a turno ogni giorno senza avere neanche un riscontro (due di esse sono state ricevute da mons. Galantino quando era ancora segretario della Cei, ma le cose si sono fermate lì). Può fare di più? Sì. Non lo fa? No. Perché? Non lo so e mi piacerebbe apprenderlo dalla sua bocca. Ma i motivi ci saranno. In ogni caso il Papa spinge per una pastorale di annuncio del Vangelo per le strade del mondo sia con i suoi discorsi, sia andando per le strade quando può.

Forse i Pastori potrebbero pensare che si può camminare per le strade del mondo che non sono le strade che di solito percorrono. Essi continuano a vegliare sul gregge e sono contenti che aumenta di numero perché i cattolici "...dal 2013 al 2018 i cattolici battezzati nel mondo registrano un incremento percentuale di quasi il 6%. Nello stesso arco temporale essi complessivamente passano da quasi 1.254 milioni a 1.329 milioni, con un incremento assoluto di 75 milioni di unità. Alla fine del 2018, i cattolici costituiscono poco meno del 18% della popolazione mondiale". (Annuario Statistico). Gli aridi dati della statistica vanno interpretati: i battezzati aumentano perché aumenta la popolazione mondiale, aumentando la popolazione mondiale ci sono cattolici che - tiepidi, ma inseriti nel sistema - fanno battezzare i bambini perché...non si sa mai: se muoiono non devono finire nel Limbo. L'Annuario non dice se sono aumentati o diminuiti i matrimoni religiosi; non dice che i giovani battezzati rimangono nel limbo fino a quando non si ricuperano per il secondo step del passaggio cattolico al momento della Prima Comunione che è più rito di passaggio ed occasione di una festa in più per il sazio mondo occidentale, festaiolo e consumista, che considera il sacramento l'ingrediente obbligato per fare festa per tutta la giornata. Idem dicasi per la Confermazione. Poi...basta. Basta fino al matrimonio (non tutti i cattolici registrati all'anagrafe parrocchiale si sposano in chiesa) e al funerale che non è un sacramento, ma un sacramentale (la maggior parte dei cattolici non lo sa) che vale la pena di fare perché non si sa mai: un prete salmodiante che irrora di acqua santa la bara e l'onora dei fumi d'incenso fra lo stupore dei dolenti e dei curiosanti che non saprebbero spiegare il senso dei riti, rende il funerale ingrediente indispensabile del fine vita.

Torno al punto di partenza e mi chiedo: se il sottoscritto, che non è nessuno, che non ha nessun incarico ufficiale, non fa nulla se non ascoltare, incontrare, dialogare con preti in crisi che girando su Internet prendono contatto, è a conoscenza che quattro preti se ne andranno, qualcuno vive con difficoltà il proprio sacerdozio, qualcun altro il proprio matrimonio...quanti saranno i preti che - solo in Italia - lasceranno il ministero? Quanti saranno i preti che rimangono nel ministero, ma vivono con disagio la propria missione presbiterale, vuoi per ragioni di sessualità non pienamente appagata, vuoi per altre ragioni?

Sarò concreto.

Tre anni fa, a Roma, ebbe luogo un convegno organizzato da Vocatio in cui parteciparono non solo coppie di preti sposati, ma anche uomini e donne che ritenevano e ritengono che il Vangelo debba tornare ad essere il centro della vita di un credente nel messaggio cristiano. A quel convegno - per la prima volta - partecipò un vescovo che ascoltò, celebrò l'Eucaristia concelebrando con un prete cattolico sposato, condivise la cena e che ci mise la faccia, mons. Giovanni d'Ercole che da poco ha lasciato la sua diocesi e vive in un monastero. L'anno successivo, un altro vescovo, non invitato, si presentò alla seconda assemblea - più ristretta - ascoltando, intervenendo, condividendo il pranzo. È il vescovo emerito di Nuoro, mons. Meloni.

È tempo di muoversi. Non si può organizzare nulla de visu perché un maledetto virus ci sta bloccando in casa, blocca l'economia, crea disagi e paure. Ma c'è il mondo on line. Ci sono e-mail, messanger, wathsapp, linkedin. Ci sono skype, zoom, microsoft team, google team.

Bisogna far girare di nuovo le idee. E non solo per quanto riguarda i preti sposati, ma il tema del ministero presbiterale in genere.

Butto là qualche domanda/pista di riflessione, precisando che sono accolti anche i contributi che chiedono di rimanere anonimi.

  • Una riflessione sul prete. Il prete è contento del suo servizio ministeriale? Gli sembra di continuare a viverlo con l'entusiasmo di quando da giovane ha scelto di percorrere questa strada perché Cristo ha riempito la sua vita?
  • Una riflessione sulla comunità. Perché non partire "dal basso" coinvolgendo cristiani (non importa se maschi o femmine) che riflettano sulla Parola di Dio, sui sacramenti, su una società laica che di cristiano ha solo il nome e coinvolgono il proprio vescovo (magari in skype) per proporre nuove forme di pastorale?
  • Una riflessione sull'Eucaristia. Vale ancora la pena celebrare la messa così come oggi si continua a proporre, con il prete che sta là e la comunità che sta giù, ordinata, ben distante di almeno un metro, che non canta, non interviene, insomma...non fa festa?

Sono idee buttate lì, sempre currenti calamo. Possono nascerne altre che riguardano la formazione dei preti, il celibato, il ministero affidato solo ai maschi... Lo so che è difficile partire perché adesso abbiamo altri problemi che per molti si chiamano sopravvivenza, salute, lavoro. E so che cosa dico perchè sono cose che vivo in prima persona in quanto sono un lavoratore autonomo. So anche che il proprio parroco o il proprio vescovo potrebbero essere latitanti, ma la comunità in rete è più vasta della chiesuola locale. Non si tratta di partire organizzati, ma di parlare, scrivere, anche in modo anonimo purchè onesto e sincero. L'organizzazione, se dovrà esserci, verrà dopo. C'è tempo. 

MEGLIO MORTO O DIMESSO.

(preti non più celibi dimessi, ma non morti)


(15-11-2020). Notizia dell'agenzia ADNKRONOS: il papa ha trasmesso a mons Leonardo Sapienza, reggente della Casa Pontificia dopo che il Prefetto è stato sostanzialmente allontanato, un incartamento fino ad oggi tenuto segreto che riguarda il dialogo che il card. Alfrink - vescovo di Utrecht e primate della Chiesa d'Olanda - ebbe con Paolo VI sul tema del celibato obbligatorio del clero. Il colloquio ebbe luogo il 10 luglio 1970. Sembra che Alfrink sia venuto apposta dall'Olanda a Roma per discutere con il papa di questo tema e che il colloquio - avvenuto probabilmente in lingua francese - sia stato messo a verbale il giorno dopo. E secretato dal Segretario di Stato card. Villot che vi ha aggiunto a margine annotazioni personali.

Da quanto scrive Adnkronos traggo alcune riflessioni che evidenzio in corsivo o in grassetto nel testo integrale che riporto in fondo.

Il tema - come detto - è ordinare uomini sposati e riammettere nel ministero sacerdoti sposati, ma su quest'ultimo punto Alfrink non insiste.

Chiaro? Ad Alfrink non interessa parlare con il papa di riammissione di preti sposati, ma solo di ordinare preti uomini sposati. Perché? Perché non va dimenticato che Alfrink - da vescovo di Utrecht - mise la sua firma al primo catechismo olandese (siamo nel 1956, il papa era Pio XII) che prevedeva l'ordinazione al presbiterato di uomini sposati, ma non fa minimamente cenno alla riammissione di preti che avevano lasciato il ministero per contrarre matrimonio. Per chi non ha i capelli bianchi ricordo che il Catechismo Olandese ebbe immenso successo dieci anni dopo la sua prima pubblicazione. Fu subito tradotto in molte lingue, ma fu stroncato da Roma per alcune "eresie" (verginità di Maria, dogma della transustanziazione...) e nel 1969 uscì l'edizione approvata con un "Supplemento al Nuovo catechismo".

Torno al nocciolo della questione: ad Alfrink non interessa che si riammettano preti sposati. Si preoccupa, però, della carenza di clero e propone al papa che si ordinino uomini sposati, perché - dice - lasciare la chiesa senza preti sarebbe un "malheur". Ma il papa è lapidario: impossibile. È un NO chiaro sia ad ordinare uomini sposati che a riammettere preti sposati al ministero e riferisce al cardinale che persino nelle missioni si oppongono a questo.

Interessante questo riferimento al parere giunto dal mondo missionario: significa che Paolo VI stava studiando il problema e chiedeva riservatamente opinioni in merito. Non ci è dato sapere quali siano le voci autorevoli alle quali Paolo VI si riferisca, ma credo di non azzardare troppo se dico che la richiesta di parere sia avvenuta secondo il solito schema autoreferenziale. Va detto, però, che il papa - non avendo il coraggio di affrontare di petto il problema del celibato, ma rendendosi conto della necessità dell'annuncio della Parola - qualche anno dopo cercherà di provvedervi prevedendo l'istituzione del diaconato permanente (lettera apostolica "Ad Pascendum").

Alfrink sembra non darsi per vinto ed insiste facendo presente che i vescovi olandesi conoscono uomini che posseggono ottime qualità per essere ordinati preti, ma il papa osserva che sarebbero deflagrati fra il servizio presbiterale e la famiglia e che quindi è meglio che facciano dell'apostolato laico concludendo: "Preferirei essere morto o dare le dimissioni".

Sono passati 50 anni e il successore di Paolo VI ha sposato i due concetti: essere buoni laici e meglio morire che derogare alla legge del celibato. Francesco, interrogato da un vescovo italiano sui preti sposati, ha risposto: "Che facciano i buoni laici"; interrogato da un giornalista sul medesimo argomento ha risposto: "Come ha detto Paolo VI: preferisco morire piuttosto che rendere facoltativo il celibato del clero".

Poco male? Sì, poco male. Spiace che chi si sente investito della suprema autorità pastorale sia così poco sensibile alla progressiva carenza di ministri e ministre che annuncino la Parola e spezzino il Pane della Vita, ma non possiamo farci nulla, se non lasciare che i morti seppelliscano i morti facendo loro sapere che rimaniamo disponibili, qualora volessero farci un fischio.

Siamo credenti nel Vangelo di Cristo, dimessi per legge umana dall'ufficio pastorale, ma non morti alla meditazione della Parola e pensiamo che il ministero presbiterale (che è servizio e non autorità) si possa svolgere rimanendo cattolici perché siamo nati in questa comunità e non abbiamo intenzione di rinunciarvi solo per il motivo che, chi comanda in questo momento, la pensa diversamente da noi su questioni disciplinari come questa, neppure avendo la sensibilità di ascoltarci o dare una risposta a domande che poniamo con sincerità e con regolare continuità a vari livelli.

Molti di noi si sono tuffati fuori dalla barca di Pietro (la metafora non è mia, ma di Hans Kung in "Essere cristiani"), ma noi preferiamo restarvi perché convinti che prima o poi il nostromo ci coinvolgerà nella riformulazione della rotta. In questi giorni due preti sposati italiani (Rosario Mocciaro e Lino Tonti) hanno spento per sempre gli occhi su questa terra, lasciando nel dolore le loro famiglie, gli amici e chi con loro ha sofferto e pregato per la riforma della Chiesa. Hanno combattuto la buona battaglia dentro la Chiesa, spesso incompresi o emarginati. Hanno terminato la corsa conservando la fede all'interno di una comunità che hanno trovato accogliente facendo Eucaristia, cioè rendendo grazie e rendendo così credibile il messaggio di Cristo al di là di stereotipati riti che iniziano e finiscono come un qualsiasi spettacolo. Rosario e Lino, con le loro famiglie, le comunità in cui hanno vissuto l'esperienza cristiana, prima da presbiteri esercitanti "legalmente" la funzione di guida e poi da presbiteri rimasti moralmente tali, hanno "aiutato l'uomo ad essere uomo, cristiano, uomo di Cristo e a rimanere effettivamente tale" (H.Kung, Essere cristiani, Mondadori, 1979, pg 595).

Torno all'inizio, per concludere. Il papa ha dato il documento che sotto si può leggere per intero ad un suo stretto collaboratore, una persona con cui ogni giorno ha rapporto perché è responsabile di udienze e incontri, smista richieste e petizioni, decide con pochissimi altri chi può avere accesso al pontefice. Perchè un documento, rimasto sino ad ora riservato, è stato reso pubblico? Può darsi che mons. Sapienza avesse detto al papa che stava scrivendo un libro in cui si sarebbe trattato anche l'argomento del celibato e il papa abbia voluto gratificare il suo collaboratore offrendogli materiale per un piccolo scoop. Può darsi che dai sacri palazzi si voglia far sapere, in via ufficiosamente ufficiale, che adesso basta continuare a rompere con 'sto celibato del clero. Può darsi che in Vaticano - soprattutto dopo la Querida Amazonia - le richieste e le pressioni perché si affronti lo spinoso argomento si siano moltiplicate e si facciano pressanti. Il fatto è che il documento pubblicato non è stato sottratto con il dolo come è successo per altri documenti, ma viene direttamente dalle mani del papa ed è reso noto in un libro il cui autore è il facente funzione di Prefetto della Casa Pontificia. Dante direbbe: "...questo sia suggel ch'ogni uomo sganni". Cioè: intelligenti pauca. Vale a dire: altolà, basta!

Ecco quanto riporta Adnkronos.

Il Santo Padre afferma di avere pensato molto al colloquio di ieri; dopo la accurata diagnosi fatta, la situazione olandese appare grave; bisogna tenerne conto con comprensione e carità; non si può esigere una prassi perfetta quando c'è questo turbamento; non vogliamo essere uniformi o giuridisti nell'applicazione, comprendiamo la necessità di essere attenti. Il cardinale ha fatto il quadro. Il Papa non ha voluto aggiungere nulla; avrebbe potuto farlo. Il viaggio ha avuto come scopo la questione del celibato. Alfrink si riferisce alle dichiarazioni dei Vescovi ed in particolare ai due seguenti punti: uomini sposati e riammissione nel ministero di sacerdoti sposati. Su questo punto Alfrink non insiste.

Il Papa aggiunge: impossibile. Il cardinale dice che vi è una categoria di preti che si illude ed ammette che si tratti di una illusione. Il Papa aggiunge: bisogna essere espliciti. Il cardinale afferma di non avere avuto una risposta alla sua relazione circa il caso Grossouw; il cardinale Seper non avrebbe scritto; il cardinale Alfrink farà ciò che gli sarà detto: chiamerà Grossouw. Il Papa pensa che bisogna tenere fermo.

Cardinale Alfrink: ma la ragione impressionante è che non ci sono più candidati al sacerdozio; egli insiste per il sacerdozio agli sposati. Il Santo Padre a questo punto dice che sarebbe una cosa che si diffonderebbe subito: non si deve fare. Il Papa ha la visione, la responsabilità; crederebbe di tradire la Chiesa. Al che Alfrinck reagisce: lasciare la Chiesa senza preti è un grande 'malheur'; è una situazione che si manifesta in Olanda, ma anche altrove. Questa maniera di aiutare la Chiesa può essere un bene.

Santo Padre: il problema è complesso. Nelle missioni, le voci più autorevoli sono contrarie. C'è qualche rimedio nell'ammissione del diaconato citato. Certo manca il ministero sacerdotale. La situazione può essere studiata collegialmente. Occorre riservare un tema di questo genere ad un Sinodo. Ma questo esige due anni almeno. Alfrink ribatte: certo è lungo, ma la Chiesa è eterna. Noi siamo i primi in Europa a conoscere questa scarsezza, che già esiste nell'America Latina. È la preoccupazione dell'episcopato olandese. Santo Padre: sarebbe da approfondire l'analisi del problema; i Vescovi non avendo clero vogliono essere uxorati. Ma introduciamo un cambiamento di concetto, una decadenza da cui non si guarisce più. Alfrink: stabilire dei criteri. Santo Padre: non convinto. Alfrink: questi uomini esistono; noi li conosciamo e ne riconosciamo le qualità. Santo Padre: che facciano dell'apostolato laico. Alfrink: ne abbiamo bisogno. Bisogna studiare il problema.Papa: non vorrei dare una speranza fallace e richiama la Lettera del 2 febbraio c.a.Alfrink: ma la Lettera ne parla.Santo Padre: io non penso che ciò si applichi per l'Olanda. Una grande riflessione si richiede per situazioni ecumeniche.Alfrink: alcune parti della Chiesa universale possono trovarsi in situazioni analoghe. Santo Padre: non avrei la coscienza tranquilla. Questo sarebbe uno sconvolgimento della Chiesa Latina. Alfrink: io non sono così pessimista.Santo Padre: mois non plus. La jeunesse viendra. Vous avez un siècle si fecond de vocation. Amour au Christ.Alfrink: non perdere questo.Santo Padre: non si può avere un doppio clero. Alfrink: pensate che non vi sarebbe più clero celibatario? Santo Padre: no. Noi avremmo dei preti assorbiti da altri compiti: famiglia, lavoro. Alfrink: ciò è vero; una delle ragioni del celibato è in effetti questa: la disponibilità; espone le prospettive di un clero sposato; una parte libera completamente, l'altra avente una professione (full time- part time). Santo Padre: dedizione del prete alla sua famiglia, non si farà più il reclutamento del clero celibatario. Alfrink: studiare più a fondo. Santo Padre: la Commissione teologica studierà le questioni che saranno oggetto del Sinodo del 1971 ma queste non sono state ancora fissate. Questo sarà senza dubbio uno dei punti ma per dovere di sincerità non voglio darvi la speranza che si arrivi (al clero sposato). Non voglio decidere da solo, perché la mia opinione sarebbe negativa; chiederò il parere degli altri confratelli nell'episcopato. Ciò avverrebbe per dei casi estremi, non sarebbe la regola, ne' la norma. Sarebbe la rovina.Alfrink: mantenere il celibato e accanto cercare delle vocazioni di uomini maturi sposati.Santo Padre: pensa V.E. che una simile legge della Chiesa resisterà? O si dirà 'si può essere sposato e buon prete?' Preferirei essere morto o dare le dimissioni!. "E' da notare - scrive padre Sapienza - la sfumatura delle parole e dei sentimenti di Paolo VI durante il colloquio: bisogna essere espliciti; bisogna tenere fermo; crederebbe di tradire la Chiesa; introduciamo una decadenza da cui non si guarisce più; non sono convinto; non avrei la coscienza tranquilla. Fino ad arrivare alla conclusione 'esplosiva' che il cardinale Villot segnala a lato di non trasmettere: "preferirei essere morto o dare le dimissioni". Papa Francesco, nel trasmettere l'inedito incartamento a padre Leonardo Sapienza, scrive significativamente: " Questo assomiglia a 'dare la vita'. Io penso lo stesso di San Paolo VI".

AVREBBE DOVUTO ESSERE UNA BUONA NOTIZIA, MA...

..

(22-09-2020). Lo scorso 18 giugno 2019 il prof. Lorenzo Tomaselli inviava una riflessione di Leonardo Boff dal titolo: Una buona notizia: ci saranno preti sposati.

Leonardo Boff scriveva: "Il 17 giugno 2019 il Vaticano ha pubblicato un documento che raccomanda al Sinodo pan-amazzonico, che si terrà nell'ottobre 2019 a Roma, di prendere in considerazione l'ordinazione presbiterale di uomini sposati, anziani e rispettati, soprattutto indigeni, per le regioni lontane dell'Amazzonia. Il papa non vuole una Chiesa che visiti, ma una Chiesa che rimanga. Questa rivendicazione è vecchia e fu proposta dalla Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (CNBB) negli anni '80 del secolo scorso a papa Giovanni Paolo II, che la interpretò come una specie di provocazione e per questo motivo mantenne sempre una certa distanza con la CNBB. Serie fonti ecclesiastiche forniscono le seguenti informazioni: nella Chiesa dal 1964 al 2004 hanno lasciato il ministero 70.000 preti. In Brasile di 18 mila preti, 7 mila hanno fatto lo stesso. Le CEB (Comunità Ecclesiali di Base) e i ministeri laicali puntano a sopperire alla mancanza di preti. Perché non accogliere i preti già sposati e permettere loro di esercitare il loro ministero o ordinare uomini sposati? Nel sinodo pan-amazzonico questo suggerimento probabilmente sarà accettato. Il documento dice anche che ci sarà un "ministero ufficiale per le donne", che non sappiamo cosa sarà. Alla fine avremo preti sposati, un vecchio desiderio di molte Chiese".

Il teologo prosegue la sua riflessione con accenni storici sul celibato e conclude:

"Siamo favorevoli al fatto che vi siano, come in tutte le altre Chiese, preti sposati e preti celibi. Non come imposizione di una legge imposta o una precondizione per il ministero, ma come opzione. Il celibato è un carisma, un dono dello Spirito per coloro che possono viverlo senza troppi sacrifici. Gesù lo ha capito bene: è una "castrazione" nel senso del vuoto che questo rappresenta nell'affettività e nell'intimità per l'uomo e la donna. Ma questa rinuncia è assunta per amore del Regno di Dio, al servizio degli altri, specialmente dei più poveri. Pertanto, tale mancanza è compensata dalla sovrabbondanza d'amore. Ciò richiede un incontro intimo con Cristo, che coltiva la spiritualità, la preghiera e l'autocontrollo. Osserva realisticamente il Maestro: "non tutti sono capaci di capirlo" (Mt 19,11). Ci sono coloro che lo capiscono. Vivono il loro celibato opzionale in modo sereno, senza diventare duri, conservando la giovialità e la tenerezza essenziale, così sollecitata da papa Francesco. Quanto sarebbe bello se accanto a loro ci fossero preti sposati. Ora potremo finalmente gioire di avere anche uomini sposati, familiarmente ben integrati, che possono essere preti e accompagnare la vita religiosa dei fedeli. Sarà un guadagno per loro e per le comunità cattoliche".

Purtroppo...hoc erat in votis di L. Boff e forse anche di molti cattolici che guardavano al Sinodo sull'Amazzonia come ad un vero momento di svolta nella pastorale ecclesiale non solo per quanto riguarda il clero, ma proprio sul modo di annunciare il Vangelo.

E' uscita l'Esortazione Apostolica Querida Amazonia - che per molti è già finita nel dimenticatoio - e non c'è una sola parola su questo tema se non generiche riflessioni che assomigliano più a buone intenzioni che al resto. Al n. 90, per esempio, il papa auspica: "... di promuovere la preghiera per le vocazioni sacerdotali, ... orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l'Amazzonia... è opportuno rivedere a fondo la struttura e il contenuto sia della formazione iniziale sia della formazione permanente dei presbiteri, in modo che acquisiscano gli atteggiamenti e le capacità necessari per dialogare con le culture amazzoniche..." Allargando un po' l'interpretazione si potrebbe arrivare a concludere che alcune culture amazzoniche non capiscono l'obbligo del celibato, ma è un po' tirata per i capelli.

Più chiaro è il n.100 quando parla dell'ordinazione delle donne: "Tale riduzionismo ci porterebbe a pensare che si accorderebbe alle donne uno status e una partecipazione maggiore nella Chiesa solo se si desse loro accesso all'Ordine sacro. Ma in realtà questa visione limiterebbe le prospettive, ci orienterebbe a clericalizzare le donne, diminuirebbe il grande valore di quanto esse hanno già dato e sottilmente provocherebbe un impoverimento del loro indispensabile contributo". La mossa è furba e geniale: ordinare le donne sarebbe clericalizzarle e visto quel che si dice in giro sul clericalismo, mica vorrete mettere addosso ad una donna una simile croce?! Ma le suore non sono un po' un mezzo clero in versione femminile?

Lasciamo perdere le polemiche. Servono solo ad alimentare tensioni e creare barriere. Atteniamoci ai fatti: la riforma della chiesa non partirà da Roma. Punto. Continuare a scrutare col binocolo l'orizzonte vaticano è tempo perso. La riforma, se deve esserci, deve partire dalle comunità locali di tutto il mondo cattolico e non solo cattolico.

Per spiegarmi meglio la prendo un po' larga.

Ogni anno, dal 18 al 25 gennaio, si prega per l'unione dei cristiani. Cattolici, Protestanti, Ortodossi ed Anglicani pregano e riflettono sulla propria disunione auspicando che un giorno...Per adesso, tranne incontri un po' teatrali e dichiarazioni di lodevoli intenti da tutte le parti, ognuno rimane nella propria chiesa e se può fare dispetto a quell'altra non perde l'occasione, come successe quando Benedetto XVI accolse i preti anglicani che se ne volevano andare dalla loro chiesa ed entrare in quella cattolica, ma non volevano lasciare moglie e figli e così nacque l'Anglicanorum coetibus che allarga un po' le rigide maglie della legge celibataria.

Un modo per tradurre nella vita quella preghiera ci sarebbe: comunità di cattolici, protestanti, ortodossi e anglicani possono smarcarsi dalla sede centrale a cui fanno riferimento e cominciare a gestirsi. Cioè ad autogestirsi.

Ci sono vescovi cattolici, per esempio, che non solo non sono d'accordo sul celibato imposto, ma coinvolgono preti sposati nella catechesi, nell'amministrazione dei sacramenti e dei sacramentali tenendo conto dei loro impegni familiari e di lavoro. Succede, ma succede in sordina. Un vescovo cattolico potrebbe accordarsi con il collega protestante, ortodosso ed anglicano per formulare un comune cammino pastorale con il contributo di tutti i ministri di culto.

È una cosa un po' complicata? Sì, lo è perché ci sono diversi fattori da considerare per non rischiare di fare un'altra chiesa nelle chiese, ma se ci si fida dello Spirito e si prega davvero insieme "ut adveniat regnum tuum" con la voglia di cercare quale sia la volontà di Dio, le difficoltà si superano.

E i capi possono prendere la cosa male o bene.

La prendono male se pensano che così sfugge loro di mano il potere (e quindi il controllo, e quindi le offerte, e quindi i beni materiali, e quindi le celebrazioni di massa, e quindi....). La prendono bene se sanno cavalcare la nuova onda ricordandosi di quello che Gesù disse ai suoi discepoli che protestavano perché c'erano altri che scacciavano di demoni come loro: "Non preoccupatevi. Chi non è contro di noi è per noi".

LE DONNE DEI PRETI


Dumar Espinosa presenta testimonianze di vita di mogli di preti. Lorenzo Tomaselli ha tradotto l'articolo dallo spagnolo. Lo pubblico così, senza alcun commento.

I preti sposati sono una realtà invisibile, ma le loro compagne e le loro mogli lo sono ancora di più. Gabriel Pabón, un prete colombiano non più in ministero, commenta che la realtà dei preti cattolici sposati deve iniziare con l'apprezzamento delle loro mogli: "Ritengo che la dignità delle donne inizi con il riconoscerle noi nella nostra famiglia, nelle cose più piccole, nei piccoli dettagli". Una famiglia non è composta solo dall'uomo. In ogni caso, osserva Fabián Contreras, anch'egli prete colombiano non più in ministero, "Il loro ruolo è stato essenziale per andare avanti su questa strada; molte hanno dovuto soffrire l'isolamento durante la gravidanza, nasconderla per evitare scandali, altre hanno dovuto sopportare il peso di vedersi relegate all'ombra della casula".

Le testimonianze di cinque donne, mogli di preti latinoamericani non più in ministero ci permettono di ascoltare le loro voci, la loro esperienza personale e familiare di maturazione nella fede per mettere in pratica in famiglia ciò che i loro mariti predicavano dal pulpito. Le critiche iniziali dei loro parenti nel corso degli anni si sono trasformate in rispetto, aiuto e ammirazione.

Inés Pachón, moglie di Angel José Muñoz (Colombia)

L'esperienza della fede in questo periodo è cresciuta molto. Preghiamo sempre in famiglia, con i nostri due figli Laura Inés e Ángel Gabriel. Ho acquisito molto più amore e rispetto per l'Eucaristia, non ce ne allontaniamo mai. Ai nostri figli fin da piccolini e - perché non dirlo - fin dall'utero abbiamo instillato la fede che professiamo; e oggi, sebbene i nostri figli siano professionisti, ci accompagnano nel pregare soprattutto il santo rosario e ci accompagnano anche alla Messa quando possono. Nella comunità in molte occasioni ci tengono come esempio di una famiglia piena di Dio e di amore. I nostri vicini ci ammirano e ci rispettano molto. Abbiamo sempre detto la verità, che mio marito è stato un prete. Il mio sposo non si è mai allontanato dalla Chiesa e continua a darci una buona testimonianza di fede e di amore per Dio. La mia esperienza personale di condividere la mia vita con un prete non più in ministero è stata molto positiva. Sento che Dio mi ha fatto un grande dono e attraverso mio marito mi sono avvicinata di più a Dio, l'ho conosciuto e amato di più; ringrazio Dio ogni giorno per avermi dato questo grande sposo e padre dei miei figli. Vedo come i preti che ci conoscono e che sono stati studenti di Ángel ci considerano e ci accolgono con grande apprezzamento. Nel mio sposo vedo, conosco e amo di più Dio. Per noi, i miei figli ed io, continua ad essere il nostro prete in questa chiesa domestica che è la nostra famiglia.

Adelina Casal, moglie di Daniel Fernández (Argentina)

La mia esperienza nel condividere la vita con Daniel sin dal primo momento è stata molto bella, quando ciò che sembrava impossibile - avevamo grande rispetto e reciproca ammirazione per la reciproca vocazione - si stava avverando. È stato difficile non per causa nostra, ma a causa dello sguardo degli altri, soprattutto per ciò che riguardava i nostri legami ecclesiali, molti dei quali non erano d'accordo. Le nostre famiglie ci hanno sempre supportato. Avevamo anche la preoccupazione di dare una testimonianza cristiana coerente. Abbiamo fatto un processo di discernimento, non è stato un colpo di testa, entrambi cercavamo la volontà di Dio e pensavamo che un amore così non potesse essere lontano da Dio. Entrambi condividevamo una profonda fede e avevamo fatto scelte di vita a causa di questa fede. Ci siamo resi conto che Dio ci chiedeva questo nuovo passo e che faceva anche parte del nostro processo vocazionale. La cosa difficile era che gli altri potevano vederlo così e non come si vede normalmente, quando la maggior parte della gente pensa che uno si è sbagliato e per questo ora vuole cambiare. Per noi era un'esperienza integrata, nella quale Dio ci stava guidando lungo questo percorso. Nessuno di noi rinnega il cammino percorso, al contrario, lo amiamo e lo sceglieremmo di nuovo, perché ad ogni passo siamo stati felici. Queste sono state le decisioni frutto di discernimento, alla sincera ricerca della volontà di Dio. C'è voluto tempo per l'accettazione da parte degli altri. All'inizio ci siamo sentiti distanti da coloro che erano stati punti di riferimento nelle nostre vocazioni consacrate. Ma con il passare del tempo, entrambi abbiamo potuto ricostituire questi vincoli e inserirci più tranquillamente in una comunità parrocchiale dove la gente comune ci ha accettato con grande naturalezza e i preti ci hanno affidato compiti pastorali, che abbiamo sempre avuto la grazia di realizzare insieme. I nostri figli (di 10 e 7 anni) partecipano alla nostra vita di fede e alle attività parrocchiali, ognuno secondo la propria età e il proprio temperamento. Conoscono la nostra storia e l'hanno incorporata naturalmente. A volte ci sorprendono con le loro domande "teologiche" e con le loro affermazioni di fede e di amore per Gesù. Dopo più di dieci anni insieme, scopriamo che la nostra vita comune è estremamente arricchente ed è un dono dell'uno per l'altro, per i nostri figli e per coloro che conoscono la nostra realtà. E tutto questo perché Cristo è la nostra pietra angolare.

Beatriz Quintero, moglie di José Manuel Ríos (Messico)

All'inizio è stato difficile perché la società ti esclude, anche la stessa famiglia lo fa, tuttavia ci sono sempre quelli che sinceramente offrono una mano e l'affetto. Queste persone costruiscono ponti, ti aprono porte e in questo modo dimostrano il loro enorme cuore. Ti fanno ricordare che Dio è sempre presente per tutti, senza discriminazioni, senza fare differenze. E, nonostante le difficoltà, l'amore che abbiamo provato l'uno per l'altro ci ha mantenuti uniti e forti; forse per questo, quando le acque si sono calmate, mi sono sentita la donna più felice, amo e mi sento amata pienamente. A volte è stata una prova, perché non abbiamo sempre avuto dei bei momenti, ma vivo con un uomo che era improbabile amare, con il quale era impossibile (per me) vivere, più impossibile era pensare di sposarlo. Come posso allora dubitare e dimenticarmi dell'esistenza di Dio? Così come lo viviamo, è nostro compito insegnare ai nostri figli che Dio è la Via, la Verità e la Vita, inizio e fine, Alfa e Omega. Non c'è altro. Dopo 9 anni posso dire che la famiglia di José Manuel ci aiuta moltissimo e ci ama molto di più. Sono una benedizione nella mia vita. E nella comunità a poco a poco ho incontrato alcuni fedeli che gli sono stati vicini e penso che, nel vederlo felice, hanno finito per accettarmi, almeno credo.

Yesuamiry Velásquez, moglie di Joanny García (Venezuela)

All'inizio della nostra relazione è stato un pò difficile, dal momento che ho sentito la distanza e le critiche da parte di persone che conoscevo, con le quali vivevo in parrocchia, per questo abbiamo deciso che era meglio allontanarci un pò. Ci siamo trasferiti in un'altra città per poter frequentare un'altra parrocchia con più libertà. Soffrivo molto durante ogni Eucaristia perché sentivo un vuoto, qualcosa mi mancava e molte volte mi sentivo in colpa per non potermi fare la comunione, poiché era una conseguenza di questa relazione. Oggi, dopo 17 anni insieme, essendo già sposati per la Chiesa e avendo 2 bellissimi figli, posso dire con entusiasmo che molte cose sono cambiate in meglio con la nostra comunità di origine dalla quale un giorno abbiamo dovuto allontanarci. In questi tempi difficili abbiamo deciso di avvicinarci ancora di più a Dio attraverso la preghiera, cosa che ci permette di essere sempre uniti come famiglia. Stiamo educando ai valori cristiani i nostri bambini di 16 e 5 anni; vogliamo che conoscano Dio e lo amino sopra ogni cosa. Partecipiamo alla messa in famiglia e facciamo parte dei gruppi della parrocchia. I nostri figli devono conoscere la nostra storia e la nostra esperienza di vita, questo li aiuterà a crescere nella fede e nell'amore.

Milena Melo, moglie di Fabián Contreras (Colombia)

All'inizio la relazione non è stata affatto facile; i principi familiari, le regole morali e religiose mi pervadevano e addirittura mi tormentavano. Era un gioco, incontri di nascosto, sguardi che andavano e venivano, alla fine una storia d'amore piena di fede e di passione. Di fede perché non perdevo la mia relazione con Dio. Il tempo passava e la relazione andava maturando, poi ci davamo più tempo e ha iniziato a sorgere la necessità di prendere una decisione: "io pensavo ad una famiglia, lui non tanto", ma avevo bisogno di definire la relazione. Una volta che ha deciso di ritirarsi e di organizzarsi con me, abbiamo dovuto accettare la critica, l'indifferenza da un lato, il sostegno e l'amore dall'altro. In questi anni non ho smesso di vivere la mia relazione con Dio; quando abbiamo avuto un bambino, lo abbiamo sentito come un dono di Dio dopo diversi tentativi, così lo vedevamo. Abbiamo educato nostro figlio ai comandamenti di Dio e della chiesa. Viviamo i sacramenti come famiglia, preghiamo, benediciamo la mensa e stiamo aspettando che la pandemia passi per accedere al sacramento del matrimonio.

Per concludere, la considerazione del valore altissimo della testimonianza del matrimonio cristiano, messa in evidenza in queste cinque storie di vita, non si oppone all'ammirazione per il dono del celibato per il regno dei cieli : "La realtà che viviamo noi che abbiamo dato il passo di formare una famiglia, non dovrebbe farci dimenticare ciò che si vive quando si esercita il ministero presbiterale, giorni di solitudine ma di amore, giorni di oscurità ma di fronte alla lampada di un tabernacolo, giorni di pianto ma anche molti di felicità. Lo dico perché non dimentichiamo mai coloro che vivono un celibato convinto", afferma Gabriel Pabón.

GRAZIE AL COVID19...


(20-04-2020)...si torna sull'argomento del celibato del clero e del servizio ministeriale anche femminile. Parto da un articolo di Dumar Iván Espinosa Molina "Un esercito di preti dispensati, riservisti in prima linea per sostenere i preti" apparso su "Religion Digital", tradotto da Lorenzo Tomaselli.

Il 19 marzo 2020 la Penitenzieria apostolica ha emesso un decreto relativo alla concessione di indulgenze speciali ai fedeli nell'attuale situazione di pandemia. Sebbene il decreto non menzioni la confessione per telefono, alcuni vescovi cattolici l'hanno autorizzata seguendo l'esempio della Chiesa ortodossa russa.

In questo modo, mentre i preti cattolici di tutto il mondo celebrano la Pasqua in streaming, alcuni si preparano anche ad amministrare la confessione per telefono ai fedeli che desiderano avvicinarsi al sacramento almeno una volta all'anno per la Pasqua di Resurrezione.

Le distinzioni scolastiche di materia e forma e della presenza per la valida celebrazione dei sacramenti starebbero subendo in pratica una riformulazione, in considerazione delle attuali condizioni che la pandemia e la conseguente quarantena hanno imposto al mondo intero.

Mentre canonisti e teologi concordano sulla validità delle confessioni virtuali autorizzate da alcuni vescovi di tutto il mondo, un esercito di riservisti è in prima linea per sostenere i preti effettivi nel dispensare la grazia del perdono nel sacramento della riconciliazione. Si tratta dei preti in pensione e dispensati dal ministero che, in virtù del rescritto di dispensa, hanno l'obbligo di assolvere il penitente in caso di pericolo di morte, anche "in presenza di un prete approvato" (CIC, can. 976).

Nell'ospedale da campo di Francesco, dove sono necessarie mani che vogliono collaborare, centinaia di preti in pensione sarebbero disposti ad ascoltare in confessione per telefono i contagiati da Covid-19 e ad assolverli in caso di pericolo di morte.

La circostanza storica di una pandemia dovrebbe servire a riflettere anche sulla possibilità di un permesso speciale per i preti pensionati, dispensati e sposati di presiedere la celebrazione dell'Eucaristia in famiglia o in privato, poiché questo è il miglior viatico per sopportare la difficile prova della malattia e della morte.

Tuttavia, si dovrebbe considerare caso per caso perché, sebbene la validità dei sacramenti della confessione e dell'Eucaristia officiati da un prete in pensione, anche se non dispensato, sia fuori discussione, alcuni di questi preti non sono più interessati a presiedere i sacri misteri. Motivo che non li esonera dal loro obbligo di assolvere il penitente in pericolo di morte.

Nella parabola dei talenti il Signore rimprovera il servo che, avendo ricevuto un talento, andò a nasconderlo perché sapeva che il suo datore di lavoro "era un uomo duro, che miete dove non aveva seminato e raccoglie dove non aveva sparso" (Mt 25,24). Quante volte coloro che si sono ritirati dal ministero, anche se sanno che la grazia dell'ordinazione continua in loro fino all'eternità, preferiscono bruciare le candele, nascondere il talento sulla terra e desiderano passare in incognito in un mondo che desidera Dio, la sua Parola e i suoi sacramenti. Alla fine dei giorni alle persone consacrate e in pensione il Signore chiederà cosa hanno fatto con il talento ricevuto il giorno dell'ordinazione. Come il pauroso servitore della parabola molti diranno: "Signore, abbiamo avuto paura e siamo andati a nascondere il tuo talento sotto terra; ecco ciò che è tuo" (Mt 25,25)...abbiamo avuto paura di contravvenire ancora una volta alle norme della Chiesa che salvano le anime attraverso la celebrazione dei sacramenti.

Mi piace la considerazione finale: "...contravvenire ancora una volta alle norme della Chiesa..." e mi piace per due motivi. Il primo è che molti preti che hanno lasciato il ministero solo per il motivo che, amando una donna, hanno deciso di sposarsi hanno paura di contravvenire alla norma della Chiesa se mettono a disposizione dei fedeli che lo chiedono il servizio ministeriale per il quale si sono preparati in tanti anni di studio, si sentono ancora vocati ma aspettano che il papa tolga l'obbligo canonico del celibato. Il secondo è contrario al primo: c'è chi non avrebbe alcuna paura, ma non sa come potrebbe fare a gestire un servizio ministeriale perché non vede termini e modi concreti per realizzarlo. A che titolo, infatti, un prete sposato, si presenta in una casa di cura dicendo che si mette a disposizione per ascoltare la confessione in articulo mortis, amministrare l'Unzione dei malati, celebrare il sacramento dell'Eucaristia senza provocare sconcerto?

Durante quest'epidemia ho letto belle testimonianze di medici che il giorno di Pasqua si sono prodigati per portare l'Eucaristia ai malati negli ospedali, probabilmente ricevendo il mandato di ministro straordinario dell'Eucaristia "ad actum" come prevede il diritto canonico e ho riflettuto sul fatto che ai vescovi diocesani italiani non è venuto in mente per nulla di coinvolgere i loro preti sia "in munere" che dispensati dal ministero per questa missione di servizio in ospedali, case di cura, RSA perché il loro unico problema mi è sembrato che fosse quello di celebrare i riti della settimana santa in streaming. Per la verità non è venuto in mente neanche al papa di pronunciarsi nel merito o, forse, gli è venuto in mente ma gli è stato caldamente sconsigliato di farlo per non creare pericolosi precedenti. Tanto di cappello a medici ed infermieri che si sono messi a disposizione per la distribuzione dell'Eucaristia ai malati, ma mi pare che medici ed infermieri siano già al collasso per il lavoro che loro compete e il servizio religioso avrebbero potuto svolgerlo benissimo preti nel ministero o preti e suore sposati (e).

La Cei ha fatto sapere che durante quest'emergenza sono morti 112 preti che hanno contratto il virus perché hanno messo al primo posto il servizio ministeriale e questo torna come merito a questi preti che hanno anteposto il servizio del Vangelo alla propria vita. Personalmente sono stato colpito quando ho appreso della morte di un prete della diocesi di Bergamo, don Fausto, che non si è mai risparmiato nella sua vita per aiutare il prossimo che egli intendeva come gli ultimi, ma proprio gli ultimi, della gerarchia sociale. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di apprezzare la sua capacità di ascolto e di servizio.

Il tema del presbiterato inteso come servizio alla comunità, scevro dalla condizione sessuale del soggetto e dallo stato civile dello stesso o della stessa, fa capolino fra i molti argomenti che suscita questo dannato Covid19. Non è certamente il primo argomento all'ordine del giorno, ma è uno dei tanti argomenti che potrà essere occasione di approfondimento quando tornerà la normalità.

Si può ben affermare che questa pandemia ha costretto la chiesa ad essere ospedale da campo e mai come quando si vive in quasi costante situazione di emergenza si è costretti a rivedere alcuni standard operativi che mostrano il fianco vulnerabile.

Molina ricorda la parabola dei talenti. Forse ci sono preti sposati che preferiscono nascondere il proprio talento, ma sono certo che ve ne sono altri che aspettano solo di metterlo a frutto. Perché non riprendere il discorso con i Pastori per poter rivedere non tanto una legge (per questo ci vuole poco), ma un nuovo modo di proporre il ministero della Parola e del Pane di Vita?

IL PAPA...IL CELIBATO E...


(04-02-2020)...voler trovare giustificazioni a tutti i costi, senza cercare un profeta. Mi spiego: oggi trovo su La Stampa l'articolo di Agasso Jr che riporto quasi totalmente, prima di commentarlo.

"Sul celibato dei preti Francesco la pensa come Giovanni Paolo II. Lo definisce «un dono, una grazia decisiva che caratterizza la Chiesa cattolica latina. E non un limite». E se oggi c'è chi lo chiama «Papa comunista», a Buenos Aires Bergoglio è stato «percepito come un conservatore», per la sua «sintonia» con Wojtyla. Il Pontefice argentino lo dice nelle pagine di San Giovanni Paolo Magno, in uscita l'11 febbraio per le edizioni San Paolo (pp. 128, € 12). Dal libro, attraverso l'intervista rilasciata a don Luigi Maria Epicoco, emergono le affinità tra gli arcivescovi di Cracovia e Buenos Aires, «presi» entrambi da «Paesi lontani» per farli salire sul Soglio di Pietro. Un volume che può assumere un ruolo rilevante nelle accese dispute dentro e fuori della Chiesa, perché Wojtyla è stato «arruolato» e viene spesso utilizzato come simbolo del fronte ostile al pontificato bergogliano, soprattutto per quanto riguarda gli ambiti politici e teologici, mentre Francesco ha rispedito più volte al mittente questa contrapposizione.  Sul delicato tema del momento dentro il recinto cattolico, papa Francesco assicura la piena conformità del suo pensiero con ciò che il Pontefice polacco ha espresso nel libro autobiografico Dono e Mistero. Una prova? «Basta leggere le mie lettere del Giovedì Santo o anche le omelie che da vescovo di Buenos Aires ho pronunciato nei diversi anni, per vedere come ci sia una sintonia totale con san Giovanni Paolo II rispetto al sacerdozio». Per Jorge Mario Bergoglio in confronto al passato sono cambiate «alcune forme di essere sacerdote, ma l'essenziale rimane lo stesso». Ed ecco il passaggio cruciale. Crisi delle vocazioni e abusi sessuali da parte di uomini di Chiesa sarebbero per molti conseguenza diretta e indiretta delle preclusioni psicologiche e sociali provocate dal celibato obbligatorio per i preti, perciò se ne invoca da più parti l'abolizione, ritenuta una soluzione e un rimedio validi ed efficaci. Francesco non usa giri di parole, e si dice «convinto che il celibato sia un dono, una grazia e, camminando nel solco di Paolo VI e poi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, io sento con forza il dovere di pensare al celibato come a una grazia decisiva che caratterizza la Chiesa Cattolica latina». Lo ribadisce: «È una grazia, non un limite».

Tronco a questo punto l'articolo perché il resto racconta di un papa che non è marxista, che non è teologo della liberazione, che vuole rinnovare la tradizione che paragona a radici di un albero che, però, ha altre bellezze come i rami, le foglie che si rinnovano ad ogni stagione ed i frutti. Tronco qui l'articolo perché mi fermo a considerare - se mai ce ne fosse ancora bisogno - il tema del celibato che sta dividendo il mondo cattolico, soprattutto dopo l'uscita del libro scritto a due mani da Ratzinger e Sarah.

Il papa va capito perché, a mio modestissimo avviso, si trova a gestire una situazione ecclesiale al di sopra delle sue capacità e forze. L' "ecclesiavirus" incubava già molto prima che Benedetto XVI salisse al soglio pontificio e lui, sapendolo perché era uomo di Curia, aveva già chiesto pietà al Signore proprio durante l'ultima Via Crucis con Giovanni Paolo II ancora vivente: "...quanta sporcizia c'è nella tua Chiesa, Signore!" Tentò di fare qualcosa, ma si accorse che non vi riusciva. Si accorse, soprattutto, che era solo e che i suoi collaboratori - quelli che si era scelto - non collaboravano pienamente, mettendolo al corrente solo delle cose che interessavano loro, filtrando le udienze e facendo passare notizie riservate fino allo scandalo che scoppiò. Benedetto XVI si accorse che il sommo ministero petrino andava gestito da chi era più forte e smaliziato di lui e, per il bene della Chiesa, rinunciò spiazzando tutti.

Il suo successore ereditò l'ecclesiavirus, convinto di farcela e cominciò con una serie di "provvedimenti bandiera" che gli fanno riscuotere tuttora immensi consensi, ma che di fatto incidono poco perché il papa è uomo di chiesa (non di Chiesa) e - ad eccezione di alcuni gesti che a mio avviso sono più plateali che sostanziali - non è un profeta.

Il papa va capito, ma non per questo va giustificato sempre e comunque e applaudito come il vero riformatore perché tale non è. Se fosse stato un riformatore, non sarebbe stato creato cardinale ai tempi della chiesa di Giovanni Paolo II che sembrava una chiesa aperta, ma era diventata progressivamente una "turris eburnea" impenetrabile.

Sul celibato del clero si è già pronunciato dicendo che non è un dogma (lo sapevamo già), che era nella sua agenda (non ci ha detto di quale anno), andando a trovare sette famiglie di preti sposati proprio l'ultimo venerdì dell'anno giubilare della Misericordia (e tutto si è fermato lì), facendo eco a Paolo VI che disse che avrebbe preferito morire piuttosto che cambiare la legge sul celibato e, dulcis in fundo, facendoci sapere tramite il libro che sta uscendo sul suo predecessore già fatto "santo subito" come reclamò il popolo il giorno della morte che : "...è un dono, una grazia decisiva che caratterizza la Chiesa cattolica latina. E non un limite". Belle parole, ma prive di significato concreto. Se il celibato è un dono si può accettarlo o rifiutarlo. Se lo si rifiuta, non si può essere al servizio della Parola e dell'Eucaristia? E perché? Perché l'hanno stabilito fra conflitti che sono durati secoli papi e vescovi di opposte fazioni che saranno stati convinti sostenitori del celibato, ma non per questo hanno praticato la castità? Perché lo sostengono tuttora legioni di preti e di vescovi che vivono da celibi, ma hanno una storia con qualcuno o qualcuna?

Il celibato è una grazia che caratterizza la chiesa cattolica latina. Altra frase ad effetto. Le altre chiese cattoliche che non contemplano il celibato sono prive di grazia? Chi le ha private di questa grazia?

Il celibato non è un limite. Non mi risulta che chi sostiene il sacerdozio uxorato dica che il celibato sia un limite. Mi risulta il contrario: è la chiesa latina che mette un limite a chi sente la vocazione di servire i fratelli, ma non ritiene di doverlo fare da celibe forzato dalla legge.

Il papa sul sacerdozio ministeriale dice che "...in confronto al passato sono cambiate alcune forme di essere sacerdote, ma l'essenziale rimane lo stesso". Si deve dedurre che il celibato appartenga all'essenza del sacerdozio ministeriale (latino)? Ergo altre forme di sacerdozio ministeriale cattolico sono "meno essenziali"? Ma non si è sempre detto che è una legge e come tale si può cambiare?

Il papa va capito perché fa quello che può, quello che riesce a fare attesa la sua età, le sue forze, la sua preparazione culturale e spirituale. Adesso ci viene detto che è un conservatore (chi ha voglia si legga il resto dell'articolo de La Stampa). A me non interessa avere un papa, un vescovo, un ministro conservatore o progressista. M'interessa che sia un profeta, come lo fu il Maestro.

CELIBE? ANCHE SI', MA SOPRATTUTTO TESTIMONE.(parte seconda)

(20-01-2020). Alla fine dell'articolo precedente mi sono chiesto che cosa c'entra il celibato del clero con tutto quello che avevo scritto prima e mi sono risposto accennando una serie di piccoli temi buttati: il fatturato del cattolicesimo, la vocazione, la chiesa come agenzia morale che ha sostituito (o dato l'impronta) allo stato di diritto. Ho lasciato gli argomenti in sospeso perché nel frattempo ho letto il libro scritto a due mani da Joseph Ratzinger e Robert Sarah "Dal profondo del nostro cuore" pensando di trovare risposte, anche se non dirette, alle riflessioni che mi sono posto. Non ho trovato risposta, quindi proseguo sviluppando il mio pensiero.

Il "fatturato del cattolicesimo" si concretizza nella sacramentalizzazione ad oltranza. L'annuario pontificio ogni anno riferisce i dati di un cattolicesimo in crescita nel mondo per il numero di battezzati. Mi sono abituato a valutare i dati di fatturato (mi tocca per il mio lavoro) e, quindi, a scomporre i dati stessi riferendoli a singole zone di vendita. L'annuario statistico cattolico riferisce - nel 2019 - i dati del 2017. I cattolici battezzati sono così distribuiti per continente: 48,5% in America, 21,8% in Europa, 17,8% in Africa, 11,1% in Asia e 0,8% in Oceania. La crescita riguarda tutte le ripartizioni territoriali: in Africa e in Asia rispettivamente il +2,5% e il +1,5%; l'Europa è il solo continente ad avere un trend quasi nullo (+0,1%) mentre per l'America il tasso di crescita (+0,96%) si attesta al di sotto di quello mondiale. Per quanto riguarda invece le percentuali rispetto all'intera popolazione, si va da un 63,8% di cattolici presenti nella popolazione americana al 39,7% in quella europea, al 19,2% in quella africana fino al 3,3% in quella asiatica. Risulta di qualche rilievo sottolineare come l'area americana sia in sé molto differenziata: se nel Nord America la percentuale di cattolici è solo del 24,7%, in quella Centro Continentale e Antille (84,6%) ed in quella del Sud (86,6%) la presenza di cattolici appare ben più cospicua. Il sacramento del Battesimo viene continuamente amministrato, ma con quale convinzione da parte di chi lo riceve? Quanti genitori chiedono il Battesimo per i propri figli che vengono alla luce (il cosiddetto pedobattesimo) per "convenzione sociale"? Quanti adulti si fanno battezzare per inserirsi davvero in un percorso di fede e quanti per convenienza? La statistica non ce le riferisce, limitandosi a tranquillizzarci: non siamo in perdita, come succede ad altre confessioni religiose.

Ma veniamo al clero. I sacerdoti diminuiscono: nel 2016 erano 414.969, nel 2017, 414.582, cioè 387 in meno. I candidati al sacerdozio nel pianeta passano da 116.160 nel 2016 a 115.328 nel 2017, con un calo di 0,7 per cento (-832). Aumentano i vescovi, i diaconi permanenti, i missionari laici e i catechisti. Primo dato interessante (lasciando perdere i vescovi che aumentano): diminuiscono i preti, diminuiscono i seminaristi, ma aumentano diaconi permanenti, i missionari laici ed i catechisti (che possono essere anche sposati/e): c'è da riflettere o no? Possiamo dire che chi frequenta la comunità cattolica non sta a controllare lo stato civile di chi annuncia il Vangelo o celebra un sacramento perché gli interessa che sia "vocato" a far questo?

Ecco il secondo argomento, la vocazione. AI miei tempi le vocazioni al sacerdozio erano moltissime. Nel 1965, quando sono entrato nel seminario di Como, la mia classe era costituita da 28 ragazzi. Nel seminario minore di Como (dove si frequentavano le scuole medie inferiori e solo i primi due anni del ginnasio) vi era una media di 25 ragazzi per classe. Eravamo tutti "vocati" al sacerdozio? Certamente, no. Iniziavamo, però, il percorso di discernimento seguendo i suggerimenti del nostro parroco che ci aveva chiesto se avessimo avuto voglia di diventare preti. Il cammino sarebbe stato lungo 14 anni. Per la cronaca: al termine del quinto anno di teologia (1979) siamo stati ordinati in 11 su 28. Sempre per la cronaca: 4 di noi hanno lasciato il ministero per sposarsi.

Chi si è sposato l'ha fatto perché non si sentiva vocato al sacerdozio? Tutt'altro! Chi si è sposato ha lasciato l'esercizio del ministero attivo perché il diritto canonico vieta l'esercizio del ministero stesso a chi contrae matrimonio: "E' rimosso dall'ufficio ecclesiastico il chierico che ha attentato il matrimonio anche solo civile" (Codice Diritto Canonico, can. 194, par.3). E' successo, succede e succederà per tutti i preti che vogliono sposarsi.

Ma che cosa vogliono i preti sposati?

Tutti, sicuramente, sono per il celibato facoltativo, ma per fare chiarezza cominciamo a capire quali sono le posizioni di chi sostiene il celibato facoltativo.

Una larga maggioranza dei sostenitori del celibato facoltativo ritiene che non si debba cambiare nulla, se non la legge celibataria. Non si vuole abolire il celibato del clero tout court, ma semplicemente consentire ai preti che si innamorano di sposarsi. Come è previsto nella stessa chiesa cattolica per i preti soggetti al diritto canonico orientale (ricordo, in Italia, le eparchie di Piana degli Albanesi in Sicilia e di Lungro in Calabria e l'abbazia territoriale di Grottaferrata in Lazio). A tale proposito mi piace richiamare una bella espressione del teologo don Basilio Petrà che parla di una Chiesa che "respira con tutti e due i polmoni" (quello del clero celibatario e quello del clero uxorato), entrambi pienamente legittimi e pienamente fondati dal punto di vista della tradizione e del magistero, come anche il Vaticano II ha riconosciuto. Augusto Cavadi, in un suo recente intervento ha scritto: "Molti dimenticano che la Chiesa cattolica è solo una delle tante chiese cristiane (oltre quelle ortodosse bizantine e slave, vi sono chiese di origine medievale come i valdesi; riformate nel solco di Lutero, Calvino e Zwingli; anglicane; battiste; metodiste; locali o evangelicali...): ebbene, tutte queste chiese cristiane (tranne la cattolica) prevedono la possibilità che accedano al ministero pastorale anche uomini sposati (in molti casi anche donne)".

Riprendo questa ultima considerazione sulle donne perché una parte di preti sposati (il sottoscritto è fra questi) ritiene che ci si debba confrontare e riflettere per andare oltre la mera facoltatività del celibato annesso al presbiterato e che si debba ripensare il servizio ministeriale non circoscrivendolo al sesso del ministro (preti solo maschi) e, soprattutto, ad una reimpostazione della pastorale che non deve partire dalla sacramentalizzazione, ma dall'evangelizzazione. I sacramenti vengono dopo l'annuncio evangelico, dopo l'adesione al messaggio di Cristo. Non prima. Questo non significa abolire tout court parrocchie, preti, sacramenti e sacramentali, ma iniziare un percorso di riscoperta dell'autenticità della vita cristiana che deve prendere tutta la persona perché si è cristiani anche quando si lavora, si ama, ci si diverte, si fanno affari, si è in vacanza. Chi si mette al servizio della comunità come ministro (a) è prima di tutto un araldo che annuncia una novità (la buona novella) o aiuta a riscoprire valori che nella nostra società sono confinati a qualcosa che non appartiene alla nostra vita quotidiana e che consideriamo solo la domenica quando andiamo a messa.

Personalmente non avverso la posizione di chi sostiene che il ministero presbiterale possa continuare così com'è impostato consentendo ai preti di sposarsi. Considero questa posizione un punto di partenza per continuare un cammino pastorale che riscopra i nostri veri valori, quelli che Gesù annunciò e che abbiamo un po' offuscato confinandoci nella precettistica morale. Cominciamo pure a togliere l'obbligatorietà del celibato al clero, ma proseguiamo il discorso. Ci vorranno decenni? Va bene. Non dobbiamo darci step temporali perché i tempi di Dio non sono i nostri tempi. Non siamo un'azienda che deve darsi un programma per ottenere risultati perché Dio i risultati li chiede a ciascuno di noi al termine della nostra vita, sia che siamo semplici credenti, sia che siamo papi, vescovi, preti, diaconi, suore, catechisti e via dicendo.

Nel mondo esistono vari movimenti di preti sposati che riflettono con sensibilità diverse sul tema del presbitero uxorato, ma tutti partono da una "mens" comune: il servizio dell'annuncio del messaggio cristiano che è la ragione per cui ogni prete ha scelto di essere tale e che continua a ritenere un valore anche se poi è costretto a lasciare il ministero perché s'innamora di una donna.

CELIBE? ANCHE SI', MA SOPRATTUTTO TESTIMONE.

(parte prima)

(14-01-2020). Posso dire che sono abbastanza stufo della questione del celibato obbligatorio per il clero cattolico di rito occidentale? Posso dire che ogni volta che si tocca questo argomento si finisce per dividersi senza costruire niente?

Il punto non è il celibato del clero sì, celibato del clero, no, ma una nuova concezione di pastorale. Il punto non è se si debba ricostruire ab imis la teologia del sacerdozio cattolico, ma se si intenda evangelizzare prima che sacramentalizzare.

La domanda fondamentale da porsi è: quali sono le nostre priorità come cattolici? Per noi (per "noi" intendo la comunità mondiale compresi i Pastori) è prioritario battezzare, cresimare, celebrare prime comunioni, matrimoni e funerali per verificare a fine anno la statistica dei battezzati, cresimati, comunicati, ecc. come fa ogni manager che si rispetti quando guarda a fine anno il fatturato della sua azienda oppure annunciare il Vangelo, come accadde duemila anni fa?

Battezziamo i nostri bambini ancora in culla perché così, se succede qualcosa, vanno in Paradiso e non nel Limbo o perché siamo convinti che con il Battesimo ci inseriamo come famiglia in una grande comunità dove si riflettere sul messaggio di Cristo? Ancora: dopo il Battesimo seguitiamo a celebrare i sacramenti dell'iniziazione perché è tradizione che lo si faccia (una specie di "rito di passaggio" sociale al quale non è possibile sottrarsi per fare una festa molto laica dove il fatto religioso è un ingrediente/pretesto) o siglare con la celebrazione di questi sacramenti significativi momenti di crescita nella vita della comunità?

Ho posto le domande in termini di "aut - aut" perché è mia opinione non solo che "tertium non datur", ma che si debba operare una scelta pastorale radicale. Basta riempire le chiese in occasione della prima comunione, della cresima, dei funerali e della festa del santo patrono e poi vedere le stesse chiese con qualche fedele perlopiù anziano sparso qua e là alla celebrazione della messa domenicale!

Nascondersi il problema non giova a nessuno, né alla grande comunità cattolica, né ai suoi Pastori.

Alzare l'età dell'amministrazione dei sacramenti per prolungare la frequenza obbligatoria al catechismo è un espediente che si è rivelato fallimentare perché a festa finita almeno il 50 per cento dei cresimati va per un'altra strada e di questo 50 per cento solo una modesta percentuale celebrerà il matrimonio religioso (sono almeno tre anni che le statistiche Istat ci riferiscono che i matrimoni civili e le unioni di fatto hanno superato il matrimonio religioso).

Ho scritto che penso che si debba operare una scelta pastorale radicale perché non mi piacerebbe sentirmi rispondere che si potrebbe "unum facere et aliud non omittere", nel senso che si può evangelizzare sacramentalizzando o viceversa.

Penso che come comunità cattolica i nostri Pastori debbano essere sollecitati a porsi il problema seriamente ed a risolverlo con coraggio. Se non hanno la forza di darsi il coraggio, chiedano allo Spirito di aiutarli perché la Chiesa non può più essere una specie di "agenzia etica" come s'è autoconfigurata ad essere almeno dal Tridentino in poi. Penso che il tempo in cui si è cristiani cattolici - o ci si sente tali - perché si osservano le tappe delle celebrazioni sacramentali e si osserva la legge morale che comprende i vari precetti studiati a catechismo ossequiando il parroco o il vescovo, sia finito da un pezzo. Ce ne siamo accorti?

Se non ce ne siamo accorti, è sufficiente che facciamo un rapidissimo esame di coscienza sulla giornata che - da cattolici - abbiamo appena concluso o ci apprestiamo a cominciare per chiederci se oggi - giorno feriale di una settimana come tutte le altre - la nostra vita è stata "informata" dal Vangelo o no. Possiamo chiederci se conosciamo il Vangelo, cioè parole di Cristo, episodi della vita di Cristo, ammonimenti, esortazioni, comportamenti di Gesù riferiti dai tre Sinottici e da Giovanni? Se li conosciamo a memoria, possiamo tranquillamente affermare che OGGI saranno (o sono stati, se è sera) paradigmatici nella nostra vita quando incontreremo il collega di lavoro che sappiamo lecchino ed arrampicatore sociale, il furbetto che ci ha fregato l'unico parcheggio nonostante ci avesse visto in coda d'attesa, il negoziante che ci ha imbrogliato sulla merce venduta, l'arrogante, il ciarlatano, il cacciaballe? Non derubrichiamo queste cose a "stupida quotidianità" perché è la nostra quotidianità e in questa quotidianità dobbiamo esserci dentro come cristiani, a meno che riteniamo il nostro essere cristiani una specie di partecipazione ad un club al quale siamo stati iscritti d'ufficio il giorno del Battesimo e che richiede periodici adempimenti che vale la pena d'osservare perché...perché...non si sa mai...

Ma tutto questo che sto scrivendo, che c'entra con il celibato del clero?

C'entra perché se la nostra prima preoccupazione non è il "fatturato annuo del cattolicesimo" (nel senso di quanti battesimi, quante prime comunioni, cresime ecc.), ma vivere nella vita quotidiana il messaggio di Gesù, non stiamo a guardare se chi ci aiuta a farlo perché si sente "vocato" a questo sia sposato o celibe, maschio o femmina perché è la sua convinta testimonianza che ci trascina e ci guida. Se essere cristiani cattolici non significa per noi essere membri di un club, ma di una comunità che ci coinvolge quotidianamente, non stiamo a guardare sesso e stato civile di chi ha risposto ad una "vocazione" per guidare la comunità.

C'entra perché se non possiamo rinunciare ad un appuntamento settimanale dove insieme leggiamo la Parola di Dio e riflettiamo su di essa e facciamo memoria dell'evento più significativo che ha segnato la nostra salvezza per "rendere grazie a Dio" (Eucaristia) d'averci donato Gesù non c'importa se chi presiede questo evento sia celibe, nubile, sposato (a), vedovo (a). C'importa che sia autorevole, ma non che sia un'autorità.

Non abbiamo bisogno di un guru, ma di un maestro. Non ci serve una persona che tracci segni misteriosi, ma che percepiamo come vicina a Dio per la sua profonda spiritualità.

(fine della prima parte).

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